Agli occhi di molti, la professione del diplomatico sembra datata, legata ancora al tempo in cui le negoziazioni tra i governi erano gestite esclusivamente da un élite scelta, deputata a risolvere in modo pacifico le dispute esistenti tra i diversi stati. In realtà, come ci spiega l’ambasciatore Paolo Guido Spinelli nella video-intervista di oggi, il mestiere del diplomatico si è attualizzato nel corso del tempo, si è “informatizzato”, e si è evoluto pur restando fedele alle sue origini.
In seguito ad una prima esperienza alla Direzione Generale del Personale Ministero Affari Esteri, l’ambasciator Spinelli, è stato secondo segretario a Tripoli e quindi vice console a Grenoble. Dopo aver diretto il Consolato Generale di Lione ed essere stato segretario a Dublino e primo consigliere ad Ottawa, è stato nominato Ambasciatore a Dakar e ha concluso la carriera come Ambasciatore a Budapest.
Secondo quanto possiamo ascoltare nella testimonianza di oggi, fare il diplomatico significa soprattutto essere un ponte, un tramite capace di intessere ed animare relazioni proficue e durature per il proprio paese, promuovendolo a tutto tondo, dal campo sociale, a quello economico e culturale. Non a caso, la “public diplomacy”, ossia l’informazione e la formazione dell’opinione pubblica, è diventato uno degli aspetti primari del training del diplomatico, all’estero come in Italia.
Come ricorda l’ambasciator Spinelli, un noto luogo comune vuole che il buon diplomatico sia anche un buon mistificatore: niente di più falso. Il bravo diplomatico è appunto colui che meglio riesce a relazionarsi agli altri, a proporsi e, soprattutto, a creare punti di incontro.