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Commentary

Cooperazione e competizione: la doppia vita di Varsavia

Serena Giusti
07 July 2016

Il prossimo summit della NATO si terrà a Varsavia, la città in cui nel 1955 fu firmato il Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza conosciuto come Patto di Varsavia, l’alleanza politico-militare fra l’Unione Sovietica e le democrazie popolari dell’Est europeo. Il Patto di Varsavia si inseriva nel clima crescente di tensione e contrapposizione fra il blocco occidentale e quello sovietico. Con lo sgretolamento dell’Urss nel 1991 anche il Patto di Varsavia si dissolse mentre la NATO sopravvisse al cambiamento sistemico, individuò nuovi obiettivi e intraprese un graduale processo di estensione ad Est, ancora in atto.

Ospitare un summit della NATO a Varsavia ha quindi una valenza simbolica ed evocativa molto pregnante. Questo sarà anche il secondo summit, dopo quello tormentato di Bucarest dell’aprile 2008 (gli Stati Uniti proposero l’apertura del membership action plan per Ucraina e Georgia che fu invece osteggiata dalla Germania e naturalmente alacremente criticata dalla Federazione Russa), che si tiene nella regione orientale della NATO.

Pochi mesi dopo il vertice di Bucarest, la Russia intervenne militarmente in Georgia e riconobbe l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Come reazione, la NATO decise di sospendere gli incontri nell’ambito del Consiglio Nato-Russia, istituito nel 2002. Le relazioni fra la comunità euro-atlantica e la Russia migliorarono brevemente nel 2009, dopo il riavvicinamento pragmatico (reset) fra Washington e Mosca, che favorì tuttavia la conclusione di un nuovo accordo sulla riduzione degli armamenti nucleari, l’apertura al transito dei mezzi di rifornimento Usa e dei paesi NATO verso l’Afghanistan e il sostegno del Cremlino alle sanzioni americane nei confronti dell’Iran.

La reazione perentoria, subitanea ed inaspettata della Russia di fronte al caos politico ucraino, dopo la mancata firma dell’accordo di associazione con l’Ue da parte del presidente Yanukovych, ha aperto una nuova fase di tensioni fra il Cremlino ed i partner occidentali. All’annessione della Crimea da parte della Russia e la guerra ibrida sostenuta dai filo-russi nell’Ucraina orientale, Stati Uniti ed Ue rispondono, nonostante visioni non sempre allineate, con un’escalation di sanzioni. Tali misure, pur producendo effetti negativi sull’economia russa, non risultano efficaci al fine di modificare il comportamento del Cremlino. Sebbene un’opzione militare non sia mai stata realmente presa in considerazione nel disegnare una strategia reattiva alla assertività russa (non solo per l’inapplicabilità dell’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, ma anche per l’inadeguatezza degli strumenti tradizionali a fronteggiare la guerra ibrida), i membri orientali della NATO hanno enfatizzato e attinto abbondantemente alla tipica retorica della Guerra fredda. Tale narrativa, fondata su una configurazione desueta del sistema internazionale, rischia di produrre semplificazioni pericolose e condurre a diagnosi fallaci. In alcuni dei membri orientali della NATO, ed in particolare in Polonia, l’esacerbazione da parte dell’élite politica delle paure fondate sulla memoria storica, ravvivate dalla propensione russa all’uso della forza, è praticata tatticamente per fini di politica interna. Il partito conservatore Diritto e giustizia, che si è affermato sia alle elezioni parlamentari sia alle presidenziali, tenutesi entrambe nel corso del 2015, ha enfatizzato la minaccia della Russia alla stabilità della regione, facendone uno dei principali temi della campagna elettorale.

Il Segretario generale della NATO non ha esitato a definire il summit di Varsavia come “di svolta”, facendo presagire un consolidamento della presenza della Alleanza sul fronte orientale. Il vertice è stato preceduto da un’imponente esercitazione militare, Anakonda, coordinata dalla Polonia con la partecipazione di 31.000 soldati e migliaia di mezzi provenienti da 24 paesi, compresi Ucraina e Georgia. L’operazione Anakonda costituisce il più grande movimento di truppe straniere alleate in tempo di pace ed è la prima volta, da quando i nazisti invasero la Polonia, che dei carrarmati tedeschi hanno attraversato nuovamente il paese. Inoltre a giugno, nel Mar Baltico si è svolta l’esercitazione navale Baltops volta a testare la interoperabilità degli stati membri, inclusi Finlandia e Svezia.

Infine, la NATO ha approvato il dispiegamento su base rotativa di 4 battaglioni multinazionali in Lettonia, Lituania, Estonia e Polonia. Il loro dislocamento dovrebbe iniziare nel gennaio 2017. La mobilitazione della NATO sul fronte orientale rischia tuttavia di aggravare le tensioni con la Russia. Talvolta le percezioni di taluni stati possono indurre a privilegiare alcune aree e a trascurarne altre, generando valutazioni avventate che intralciano una più razionale definizione degli interessi e delle priorità strategiche dell’alleanza. La “deterrenza leggera” post-Guerra fredda, perseguita attraverso un’intensificazione della presenza militare NATO ai confini orientali non pare lo strumento più appropriato per creare un’area ampia di stabilità, che presuppone il recupero della partnership con Mosca.   

La NATO a Varsavia dovrà avere perciò il coraggio di superare il limite orientale ed allungare lo sguardo al fianco sud dove l’instabilità, la guerra e la minaccia terroristica pongono delle sfide per le quali l’alleanza non sembra ancora adeguatamente attrezzata. In questa area, la Russia si è rilevata un attore strategico ed attivo e potrebbe esserlo ancora di più dal momento che le tensioni fra Mosca ed Ankara volgono ad una fase distensiva dopo gli attriti siriani. Sebbene la Turchia e la Russia siano lontane da un modello occidentale di democrazia e agiscano impulsivamente e pragmaticamente in politica estera, una loro emarginazione (più difficile nel caso della Turchia membro della NATO e paese candidato alla Ue) dalle aree attigue più turbolente allontanerebbe qualsiasi prospettiva di stabilizzazione. La NATO non deve perciò cadere vittima degli interessi nazionali dei suoi membri, ma produrre una visione che trascenda le individualità statuali.   

 

 

Serena Giusti, Scuola Superiore di studi universitari e di perfezionamento Sant’Anna, Pisa e ISPI.

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