La Costituzione della Quinta Repubblica, adottata circa sessant’anni fa, conferisce un ruolo preminente al presidente della Repubblica in materia di politica estera. Il capo dello Stato non è solamente incaricato di negoziare e ratificare i trattati, ma si trova anche a capo delle forze militari. La prassi ha poi rafforzato tale posizione di preminenza, tanto che l’azione esterna è spesso considerata “l’ambito riservato” del Presidente. Il prossimo inquilino dell’Eliseo – chiunque egli sia e indipendentemente dall’esito delle elezioni legislative di giugno – disporrà quindi di un reale margine d’azione in materia di politica estera. Ora, in materia di affari esteri, i principali candidati propongono delle opzioni – se non delle vere e proprie visioni del mondo – assai differenti. Tali diversità riguardano in particolar modo tre punti.
La questione delle alleanze
Il primo punto su cui si confrontano i candidati è quello delle alleanze. Un punto che si potrebbe riassumere nella domanda: “Da che parte si schiera la Francia?” Sorprende constatare che tre dei quattro candidati principali vorrebbero una rottura più o meno netta sulla questione. Tale rottura implicherebbe un riavvicinamento con la Russia e una presa di distanza dagli Stati Uniti. Questo cambiamento è motivato da ragioni differenti a seconda dei candidati. Più ci si avvicina all’estrema sinistra, più le tematiche anti-imperialiste, anticapitaliste e altermondialiste assumono rilievo; con la conseguenza di violente critiche avanzate verso la NATO e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e di una spinta verso una maggiore collaborazione con i BRICS. La destra e l’estrema destra condividono con l’estrema sinistra la retorica anti-imperialista. Inoltre vedono nella Russia di Vladimir Putin un difensore dei valori nazionalistici e conservatori. La politica di Mosca in Medio Oriente è considerata più efficace di quella di Washington e maggiormente capace di realizzare un duplice obiettivo: sconfiggere “il totalitarismo islamico” e proteggere i cristiani d’Oriente. Sono ormai lontani i tempi in cui lo slogan “Nous sommes tous Américains” appariva sulla prima pagina di Le Monde e veniva fatto proprio da buona parte della classe politica francese.
Il futuro dell’Unione europea
Il secondo punto di contrapposizione fra i candidati riguarda l’Unione europea. L’estrema destra vuole trarre vantaggio dalla dinamica innestata dalla Brexit. Essa auspica infatti il ritorno al franco – ricordando peraltro che la stessa sterlina si è indebolita di poco – e promette di indire un referendum sulla permanenza della Francia all’interno dell’Ue. Anche gli altri candidati constatano il cattivo funzionamento delle istituzioni europee e invocano la necessità di cambiamenti più o meno profondi. Jean-Luc Mélenchon vuole riformare completamente l’attuale costruzione europea, che è vista come una macchina che produce norme liberali. Benoît Hamon vuole istituire un’assemblea parlamentare dell’Eurozona. Emmanuel Macron intende invece creare la carica di ministro dell’Economia dell’Eurozona e rafforzare l’Europa della Difesa istituendo un “Quartier generale europeo permanente”. François Fillon, infine, insiste sulla necessità di riformare gli accordi di Schengen, rafforzare le frontiere esterne dell’Ue e “dotare l’eurozona di un direttorio politico”.
Il ritorno della centralità della Difesa francese
Il terzo punto – Il ritorno della centralità del settore della difesa – è meno divisivo rispetto ai precedenti. Tutti i candidati concordano sul fatto che l’apparato militare non riceva adeguati finanziamenti da tre decenni e che sia necessario trovare nuove risorse nel bilancio pubblico, dati il livello della minaccia terroristica e l’aumento delle tensioni geopolitiche. I principali candidati vorrebbero raggiungere o superare la soglia del 2% del PIL da allocare al settore della difesa durante il corso del loro mandato, ad eccezione di Jean-Luc Mélenchon, il quale considera tale cifra una “richiesta della NATO”. Il candidato di “France insoumise” si distingue anche in quanto propone di abbandonare il programma di difesa aerea nell’ambito della deterrenza nucleare. Mélenchon insiste, inoltre, sulla necessità di rafforzare il “legame esercito-nazione” e vorrebbe introdurre un servizio militare della durata di 9 mesi. Altri due candidati – Marine Le Pen e Emmanuel Macron – supportano l’idea del servizio militare, anche se per una durata inferiore. L’esercito è così visto non solo come uno strumento essenziale per assicurare l’indipendenza della Francia ma anche come un’istituzione capace di rafforzare una società della quale i gruppi jihadisti cercano di sfruttare le debolezze.
Insomma, l’elettorato francese è tenuto a compiere una scelta che inciderà non solo sul futuro della Francia ma anche su quello dell’Europa e delle relazioni transatlantiche. La speranza è che l’arco temporale tra i due turni venga utilizzato per dibattere più serenamente sui grandi orientamenti politici proposti dai due finalisti.
Marc Hecker, Director of Publications IFRI
* È disponibile al seguente link la versione in francese del testo.
** Per saperne di più, vi invitiamo a leggere il seguente studio disponibile sul sito dell’IFRI in francese e in inglese: Thomas Gomart et Marc Hecker (dir.), « L’agenda diplomatique du nouveau président », Etudes de l’Ifri, avril 2017.