Si terrà questa sera alle 21.00 (le 3.00 del mattino in Italia) il primo confronto televisivo tra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump e Hillary Clinton. Novanta minuti senza interruzioni pubblicitarie, domande a bruciapelo, un minuto e mezzo per le risposte. Una vera e propria performance in cui a vincere con ogni probabilità non sarà chi dimostrerà di avere il programma migliore, bensì chi sarà in grado di esporre le proprie idee con efficacia, reggendo alla pressione dei tempi serrati e agli attacchi incalzanti dell’avversario. Gli argomenti su cui si confronteranno i candidati sono tre: "Securing America", "America’s direction" e "Achieving prosperity". Quali sono le posizioni di partenza dei candidati? In questo Focus, una breve guida a questi argomenti, per arrivare preparati a quello che si prepara ad essere il principale appuntamento di questa singolare corsa verso la Casa Bianca.
Per approfondire i temi legati alla campagna e i possibili scenari post–voto, l’ISPI, in collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera e il Consolato Generale degli Usa a Milano, organizza il ciclo di incontri "Stati Uniti alle urne". Il primo appuntamento sarà il 5 ottobre. Tutte le info qui.
Questi avvenimenti, in competizioni elettorali "normali", favorirebbero il candidato del partito Repubblicano, percepito come dotato di un approccio più "muscolare". Ma di normale in questa competizione non sembra esservi molto. I sondaggi, infatti, suggeriscono l’esatto contrario: secondo una rilevazione dello scorso giugno, effettuata dopo l’attacco di Orlando, il 50% degli americani considera Clinton in grado di gestire la minaccia terroristica (+8% rispetto a maggio), mentre solo il 39% pensa questo di Trump. Del resto, Clinton è percepita come un "falco" all’interno del partito Democratico, elemento che le permette di distanziarsi tanto dall’approccio attendista – per alcuni passivo – di Obama, quanto dall’isolazionismo mescolato alla xenofobia di Trump.
Infine, la rimozione dell’embargo con Cuba vede entrambi i candidati favorevoli anche se Trump avverte di essere disposto a revocare le concessioni di Obama se non viene garantita maggiore "libertà politica" sull’isola. Per quanto riguarda l’Iran, Clinton considera l’accordo un successo ma si dice pronta a ricorrere anche a misure militari se Teheran non dovesse rispettarlo. Trump, invece, ha definito più volte l’intesa come "disastrosa" ma non è chiaro cosa questo possa implicare nel caso fosse eletto presidente.
Al contrario, Trump – pur avanzando proposte più vaghe, che lasciano quindi maggior margine d’azione per cambiamenti di idee – intende sostenere i lavoratori americani attraverso una politica commerciale più protezionista: penalizzazioni per le imprese manifatturiere statunitensi che delocalizzano e innalzamento di barriere tariffarie verso Messico e Cina. Misure, queste, a cui si accompagnano tagli fiscali per le imprese (da 35% a 15% la tassa sui redditi d’impresa) e fasce più abbienti (da 39,6% a 25% la tassa sul reddito delle persone fisiche) che porterebbero a una diminuzione delle entrate fiscali pari a $9,6 trilioni in 10 anni, con un impatto potenzialmente notevole sulle finanze pubbliche già sotto stress.