L’uso dei bambini da parte dello Stato Islamico
Diversi gruppi jihadisti hanno dedicato grande attenzione all’indottrinamento e addestramento di minori. Il cosiddetto Stato Islamico, in particolare, non ha mostrato alcuna esitazione a coinvolgere bambini: i “cuccioli del Califfato” – come sono stati ufficialmente ribattezzati -, dopo essere stati reclutati, sono stati indottrinati e addestrati e infine schierati persino nei ranghi del gruppo armato (1). È noto che decine di bambini hanno portato a termine operazioni suicide; altri hanno persino partecipato a esecuzioni capitali.
Oltretutto, a differenza di altri gruppi armati e milizie (come quelli che impiegano bambini soldato in conflitti in Africa e in Asia), lo Stato Islamico ha riservato grande spazio all’impiego dei bambini nell’ambito della sua vasta e sofisticata attività di propaganda. Non è noto quanti minori siano stati effettivamente coinvolti nelle attività del sedicente Califfato. A quelli già presenti nelle aree conquistate dall’organizzazione di al-Baghdadi, occorre aggiungere quelli giunti dall’estero, al seguito di foreign fighters. Si stima che soltanto dall’Europa occidentale siano arrivati in Siria e Iraq non meno di 800 bambini (2). Anche alla luce dell’importante operazione di polizia scattata di recente a Foggia, è importante esaminare come lo Stato Islamico abbia effettivamente organizzato e promosso l’indottrinamento delle giovani generazioni.
Oltretutto, è importante evidenziare che parte del materiale didattico dell’organizzazione è comunque disponibile on-line, anche in lingue diverse dall’arabo (3), e può essere quindi utilizzato in altre aree geografiche, anche dopo la caduta del Califfato.
L’indottrinamento
Nel territorio governato dallo Stato Islamico, indottrinamento e addestramento si fondavano su un approccio sistematico, strutture centralizzate e procedure rigide.
La frequenza delle scuole gestite dall’organizzazione era obbligatoria, con classi separate per sesso. L’insegnamento prevedeva anche pene corporali. Anche gli insegnanti subivano forti pressioni e intimidazioni perché si adeguassero rigorosamente al ruolo che veniva loro imposto.
La formazione dei bambini includeva innanzitutto l’insegnamento dei fondamenti ideologici dell’organizzazione, anche attraverso appositi manuali. Lo scopo era quello di trasformare gli alunni in “cittadini” dello Stato Islamico e soprattutto in militanti jihadisti. Ovviamente, i minori sono particolarmente vulnerabili a interventi di condizionamento e manipolazione.
In questa attività di indottrinamento, l’organizzazione di al-Baghdadi era attenta a legittimare la propria attività, missione e autorità (esclusiva), re-interpretando selettivamente alcuni aspetti della dottrina e della storia islamica, alla luce dell’ideologia salafita-jihadista.
Nelle scuole dello Stato Islamico, gli insegnanti facevano memorizzare ai propri studenti alcuni versetti tratti, con opportuna selezione, dal Corano o dagli Hadith (detti e fatti attribuiti al Profeta), con l’intento di giustificare l’ideologia estremistica dell’organizzazione. I bambini erano anche incoraggiati ad impegnarsi, a loro volta, in attività di divulgazione e proselitismo (4). Erano inoltre indotti a spiare familiari e conoscenti e riferire eventuali informazioni rilevanti di cui venissero a conoscenza (5). Il materiale didattico impiegato esaltava dogmaticamente l’importanza dell’istituzione del Califfato e del ruolo del jihad armato nel progresso della storia islamica. Non mancavano poi riferimenti di carattere apocalittico. Dall’altro lato, secondo una logica manichea, venivano esplicitamente condannate oppure rimosse ideologie e pratiche moderne, come la democrazia, il nazionalismo, il patriottismo. Significativamente, i libri di geografia non presentavano i confini degli Stati nazionali (6).
Il tema del martirio era trattato con frequenza. Gli insegnanti illustravano le azioni suicide dei miliziani del gruppo e le glorificavano sostenendo che attraverso il compimento di tali operazioni fosse possibile avere accesso al paradiso (7).
Oltre al netto rifiuto della cultura occidentale, i libri dello Stato Islamico enfatizzavano anche il concetto del takfir, ovvero la pratica di accusare altri musulmani di essere in realtà “infedeli” (kuffar) e quindi meritevoli di essere puniti, anche con la pena di morte. Enfatizzando questa idea estremistica, i libri scolastici religiosi indicavano anche i comportamenti concreti da assumere e da evitare allo scopo di essere “veri” musulmani (8).
In generale, in termini storici, il Califfato dello Stato Islamico veniva presentato, secondo una versione deterministica, come il culmine della storia dell’Islam.
Inoltre, eventi specifici venivano ripresi e riletti, in maniera selettiva e creativa, a fini ideologici. Un esempio interessante è rappresentato dal riferimento alla Battaglia di Badr - menzionata esplicitamente anche nelle attività educative del Centro Islamico di Foggia. La battaglia, una delle più note della storia dell’Islam (e centrale anche nella narrativa jihadista, sulla base di una reinterpretazione militante (9)), rappresenta la prima vittoria per la Ummah (comunità dei fedeli) del Profeta Muhammad (Maometto), dopo la Egira (Hijra, emigrazione) a Yathrib/Medina. Ebbe luogo a metà del mese di Ramaḍan dell’anno 2 dell’Egira (624), quando, presso i pozzi di Badr, i musulmani tesero un’imboscata alla carovana dei meccani guidati da Abu Sufyan. Nonostante la netta inferiorità numerica, i seguaci di Muhammad ebbero la meglio. Lo scontro, interpretato in senso religioso come dimostrazione del favore divino, rinfrancò il morale dei fedeli musulmani, condusse a un aumento delle conversioni all’Islam e rafforzò la posizione di Muhammad.
La vittoria ebbe quindi diversi significati di carattere simbolico: la vittoria dell’Islam contro la miscredenza e il politeismo; la prova dalla “provvidenza divina”; lo scontro tra i deboli e potenti, nel quale sono i primi a trionfare. Il giorno della vittoria viene infatti ricordato come il “Giorno della Distinzione”, in grado di dividere i due campi opposti del bene e del male, della verità e della falsità.
In aggiunta a questi riferimenti generali, la vicenda della battaglia di Badr contiene riferimenti alla decapitazione dei miscredenti sconfitti. Questo punto viene riletto dai militanti dello Stato Islamico come giustificazione della pratica di sgozzamento di prigionieri inermi – e, significativamente, con questa accezione estremistica viene ripreso apparentemente anche nell’ambito dei corsi organizzati a Foggia.
Occorre infine notare che nelle scuole del Califfato alcune materie comuni erano bandite, perché considerate non appropriate o addirittura pericolose: tra queste la musica, il disegno e la filosofia. Altre materie, come la geografia politica, cui si è fatto cenno in precedenza, presentavano restrizioni e censure. Altre ancora erano completamente riplasmate fino a essere di fatto svuotate del senso originario, come l’educazione fisica finalizzata ora a preparare piccoli miliziani in armi. (10)
Il materiale didattico
Per poter insegnare questi concetti ai propri studenti, lo Stato Islamico si serviva di diversi strumenti didattici, tra i quali appositi libri scolastici, video e persino app per telefoni.
I manuali presentano esercizi, test, mappe ed esempi per rendere il contenuto più reale e rilevante agli occhi degli alunni e, soprattutto, più utile e funzionale per le finalità del gruppo armato. Per esempio, un manuale di storia, dopo aver ricostruito la battaglia di Badr, menzionata in precedenza, si premura che il giovane studente impari che: tra gli scopi dell’esercito islamico vi è quello di “terrorizzare” gli infedeli; l’uccisione dei familiari può essere un’azione necessaria; la lotta sulla via di Allah non si limita alla difesa contro il nemico, ma si estende allo scontro contro gli infedeli e all’imposizione con la forza della legge divina. Queste nozioni estremistiche sono rafforzate da appositi test ed esercizi alla fine del relativo capitolo. (11)
L’ideologia radicale dello Stato Islamico è anche presente nei corsi non pertinenti direttamente al credo salafita-jihadista. Infatti, nei libri di grammatica o di matematica, gli esercizi vengono illustrati con immagini belliche. Per esempio, per insegnare l’arabo, le varie lettere dell’alfabeto sono associate a figure di armi impiegate dai miliziani dell’organizzazione. Analogamente, nelle lezioni di matematica i calcoli vengono presentati facendo riferimento al numero di combattenti, di armi da fuoco o di carri armati.
Questi accorgimenti avevano l’obiettivo di favorire un processo di normalizzazione della violenza: l’uso delle armi diventa un aspetto ordinario della vita quotidiana, sin dall’infanzia. Da notare l’importanza dell’uso di immagini e disegni, particolarmente efficace per un pubblico di bambini.
Oltre ai libri scolastici, anche i video avevano un ruolo importante nelle lezioni dello Stato Islamico. Filmati contenenti esecuzioni e altri atti di violenza venivano mostrati ai bambini per spiegare le attività e le finalità del gruppo armato e, in generale, per desensibilizzare all’uso della violenza. In altri, invece, vi erano contenute scene di addestramento di bambini in campi d’addestramento, con esercizi e simulazioni di combattimento.
Alcuni video, come accennato, includono anche veri e proprie azioni violente eseguite da bambini. Per esempio, il filmato in arabo Mio padre mi ha raccontato, prodotto dalla divisione mediatica della Wilaya (Provincia) di Raqqah nel 2016, mostra un nucleo di bambini che si esercitano con armi da fuoco e giustiziano infine dei nemici curdi. Questo video era anche in possesso dell’imam coinvolto nell’operazione di polizia di Foggia.
Le app presentano caratteristiche simili. Per esempio, alcune si propongono lo scopo di insegnare l’alfabeto arabo in maniera interattiva, associando le lettere a immagini di fucili, carri armati o spade. (12)
In conclusione, il progetto di indottrinamento sistematico e su larga scala realizzato dalla Stato Islamico è ormai giunto a conclusione con la caduta del Califfato in Iraq e Siria, ma rimane la preoccupazione per iniziative educative di matrice jihadista che si rifacciano o si ispirino in qualche modo a quell’esperienza, anche in Europa, come sembra mostrare la recente vicenda di Foggia.
Note:
1. J.G. Horgan et al., "From cubs to lions: A six stage model of child socialization into the Islamic State", Studies in Conflict & Terrorism, Vol. 40, No. 7, 2017, pp. 645-664.
2. R. Barrett, Beyond the Caliphate: Foreign Fighters and the Threat of Returnees, The Soufan Center, October 2017, pp. 24-25.
3. Vedi R. Gramer, "J Is For Jihad: How The Islamic State Indoctrinates Children With Math, Grammar, Tanks, and Gun", Foreign Policy, February 16, 2017.
4. J. Olidort, Inside The Caliphate’s Classroom: Textbooks, Guidance Literature, and Indoctrination Methods of the Islamic State, Policy Focus, The Washington Institute for Near East Policy, August 2016.
5. N. Benotman e N. Malik, The Children of Islamic State, Quilliam Foundation, March 2016.
6. J. Olidort (2016).
7. S. Mekhennet e J. Warrick, "For the ‘children of ISIS,’ target practice starts at age 6. By their teens, they’re ready to be suicide bombers", The Washington Post, October 7, 2016.
8. J. Olidort (2016).
9. J. Halverson, S. Corman e H.L. Goodall, Master Narratives of Islamist Extremism, New York, Palgrave Macmillan, 2011.
10. J. Olidort (2016), p. 8.
11. Ibidem, pp. 21-22.
12. R. Gramer (2017).