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Commentary

Londra rilancia la cooperazione militare con le monarchie del Golfo

Eleonora Ardemagni
11 March 2019

Il Sultanato dell’Oman è il perno del ritorno della Gran Bretagna lungo la sponda arabica del Golfo. A quasi cinquant’anni dalla fine della Pax britannica[1] sulle coste degli allora sceiccati (1971), che avviò la fondazione statuale delle monarchie odierne, Londra sta infatti per aprire una base militare in Oman, dopo l’inaugurazione di quella in Bahrein (2018) e le trattative, in parte smentite dai britannici, con il Kuwait.

Per la Gran Bretagna, riaffacciarsi “a est di Suez”, come annunciato dal governo nel dicembre 2016, significa innanzitutto ribadire la volontà di una postura geopolitica globale nonostante le incertezze di Brexit, consolidare e ampliare l’interscambio commerciale con l’Asia, proteggere le rotte energetiche e la sicurezza degli stretti: l’Oceano Indiano è ormai il teatro di una vivace competizione geo-marittima su scala internazionale[2].

Per le monarchie del Golfo, l’attivismo militare e di sicurezza delle potenze europee nel quadrante, la Gran Bretagna più di tutte ma anche la Francia, determina implicazioni strategiche di grande rilievo, sia da una prospettiva regionale (deterrenza nei confronti dell’Iran) che interna (sostegno alla transizione economica post-oil e tenuta dei sistemi politici esistenti).

La base militare della Gran Bretagna in Oman, con sede a Duqm, sarà focalizzata sul training tra forze britanniche e omanite e diventerà l’hub di addestramento per le forze armate di Londra nel Golfo, nonché il polo logistico per le esercitazioni militari congiunte fra Gran Bretagna e Oman. Nel febbraio 2019, britannici e omaniti hanno firmato un accordo di difesa: un ulteriore tassello di cooperazione, dopo l’apertura della Joint Logistic Support Base.

Nell’aprile 2018, la Gran Bretagna ha inaugurato una base militare in Bahrein (HMS Juffair), il paese a maggioranza sciita governato dalla dinastia sunnita degli Al-Khalifa. La base di Mina Salman ospita fino a 500 militari britannici e si propone come il principale appoggio navale alle operazioni della Marina di Londra nel Golfo (lo UK Maritime Component Command è già situato qui).

I colloqui per la firma di un nuovo accordo di cooperazione militare fra Gran Bretagna e Kuwait stanno poi alimentando indiscrezioni circa la possibilità che Londra apra una base militare anche nel piccolo emirato governato dalla dinastia degli Al-Sabah, ipotesi finora smentita dai britannici. Nel 2018, l’ambasciatore britannico in Kuwait, Michael Davenport, ha affermato, nel corso di un’intervista, che la Gran Bretagna sta considerando il dispiegamento di truppe in suolo kuwaitiano, seppur in numero limitato.

La Francia, che nel 2009 ha aperto una base militare negli Emirati Arabi Uniti, ha appena siglato  (l’11 febbraio scorso) una dichiarazione d’intenti con il Qatar: l’obiettivo è istituire un Dialogo Strategico Francia-Qatar, che includa anche il settore della difesa.

Dal punto di vista di Oman, Bahrein, Kuwait e Qatar, il sì al rafforzamento della cooperazione di sicurezza con alcuni stati europei nonché, nei primi due casi, l’apertura di postazioni militari permanenti, può essere letto attraverso cinque chiavi di lettura, tutte complementari. Innanzitutto, la presenza di avamposti militari è uno strumento di deterrenza nei confronti dell’Iran (soprattutto per Manama); ma essa è anche una risorsa esterna a rinforzo della sicurezza dei regimi politici, nonché un argine alle tendenze egemonizzanti dell’Arabia Saudita sul resto del Consiglio di Cooperazione del Golfo (è il caso di Doha sotto embargo, ma anche di Muscat e Kuwait City), specie in tema di politica estera.

Inoltre, le basi militari hanno anche ricadute civili di tipo economico-industriale, grazie al relativo indotto: una priorità per le monarchie in cerca di transizione economica post-oil. Non è certo casuale, al di là della geografia favorevole, che la base britannica in Oman sorga a Duqm, la Zona Economica Speciale di cui fa parte il porto omonimo, la più promettente e ambiziosa dell’Oceano Indiano occidentale, già oggetto di investimenti stranieri, anche cinesi e indiani. Sicurezza marittima e libertà di navigazione, lungo gli stretti e in alto mare, sono obiettivi condivisi: la Gran Bretagna ha siglato nel 2017 un accordo con il Sultanato che permette alla British Navy di utilizzare il porto di Duqm.

E poi c’è il tema della professionalizzazione delle forze armate, su cui le monarchie del Golfo stanno investendo molto, a differenza del passato: addestramento congiunto significa maggiori possibilità di trasferire know-how e rimuovere alcuni degli ostacoli verso l’interoperabilità, come dimostrato da Saif Sareea 3,  l’imponente esercitazione militare britannico-omanita svoltasi nel Sultanato nell’ottobre 2018[3].

Il recente viaggio del ministro degli Esteri della Gran Bretagna, Jeremy Hunt, ad Aden, in Yemen – il primo di un ministro inglese dal 1996 – lascia intravedere il rinnovato interesse strategico di Londra per le coste e le geografie marittime del quadrante, Yemen compreso. E gli yemeniti del sud, che con i britannici hanno un legame storico, l’hanno presto capito: una delegazione del Consiglio di Transizione del Sud (STC), l’organismo pro-secessionista basato ad Aden e sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti, è volato a Londra per incontrare parlamentari e membri della diaspora.

Insomma, la cooperazione di difesa tra i paesi europei e quelli della sponda arabica del Golfo si rafforza, disegnando nuovi (o nel caso di Londra, rinnovati) perimetri di sicurezza regionali. Guardando alla Gran Bretagna, nessuna Brexit è prevista dal Golfo: una buona notizia per le monarchie della penisola arabica, strette fra sfide economiche, pressioni regionali e ambiziosi percorsi di professionalizzazione militare.

 

 

[1] Per una ricostruzione storica, James Onley, “Britain and the Gulf Shaikhdoms, 1820–1971: The Politics of Protection”, Georgetown University-School of Foreign Service in Qatar, Occasional Paper n°4, 2009.

[2] Si veda Jean-Loup Samaan, “Back to the East of Suez? The British in the Indian Ocean”, Politique Étrangère, 2017, 3, pp.125-137.

[3] Saif Sareea 3 ha coinvolto 5500 militari britannici e 70000 omaniti.

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