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Successione nel Golfo
Morto l’emiro del Kuwait, le sfide del suo successore
Annalisa Perteghella
| 30 September 2020

Si è spento a 91 anni l’emiro Sabah al-Ahmed al-Sabah, dopo una vita trascorsa in diversi ruoli sempre a servizio del Kuwait, un paese la cui importanza per gli equilibri regionali è spesso sottostimata. Il successore designato è l’83enne principe ereditario Nawaf al-Ahmad al-Jaber al-Sabah, ma sono in forte ascesa le quotazioni del 70enne figlio dell’emiro, Nasser bin Sabah al-Ahmed al-Sabah.

Nasser vanta credenziali in campo economico più che politico, nonostante sia stato elevato proprio nel dicembre 2017 al rango di vice-primo ministro e ministro della difesa. Ma soprattutto siede a capo del Consiglio supremo per la pianificazione e lo sviluppo (SPPD), al quale è assegnato il compito di sovrintendere all’implementazione del piano di riforme “New Kuwait” (Kuwait National Development Plan 2035), la “vision” kuwaitiana che dovrebbe portare a una diversificazione dell’economia e a una crescente emancipazione dal settore dell’oil&gas.

Il piano di riforme ha però incontrato in questi primi anni numerose difficoltà, dovute soprattutto alla forte opposizione parlamentare che rispecchia una più ampia resistenza nei settori della società che più si sentono minacciati dall’apertura dell’economia. Peculiarità del paese è infatti il ruolo molto attivo del parlamento, che più che in altri paesi della regione rappresenta un effettivo contrappeso al potere della famiglia reale.

Il profondo cambiamento sistemico che queste trasformazioni metterebbero in atto è tale da comportare – come negli altri paesi della regione che stanno perseguendo simili piani di riforma – una ridefinizione dello stesso patto sociale sul quale si basa la vita pubblica. Pur essendo il paese con la società civile più dinamica e dalla vita politica più aperta, il Kuwait non sfugge infatti alle dinamiche tipiche dei paesi rentier: una composizione della forza lavoro prevalentemente straniera, e un meccanismo di redistribuzione dei proventi petroliferi tra i kuwaitiani che genera rendite di posizione che si tramutano in supporto politico. Ma è la demografia del paese a rendere ancora più urgenti le riforme: un quarto della popolazione ha meno di 17 anni e, secondo le stime del SPPD, nei prossimi 15 anni il Kuwait dovrà creare tra i 400.000 e i 600.000 posti di lavoro. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il settore privato dovrà assorbire i 90.000 kuwaitiani (1/5 dell’attuale forza lavoro complessiva) che entreranno sul mercato del lavoro nei prossimi 5 anni.

L’obiettivo di New Kuwait 2035 è la riduzione del ruolo dello Stato nell’economia, con un maggiore coinvolgimento del settore privato e degli investitori esteri, e la riduzione del contributo dell’oil&gas alla crescita economica del paese (l’obiettivo è passare dal 90% attuale a meno di un terzo del Pil entro il 2035). Al centro del piano ci sono progetti di sviluppo infrastrutturale tra cui il megaprogetto di Northern Gulf Gateway (NGG), al centro del quale vi è lo sviluppo di Silk City (Madinat al-Hareer, la città della seta), nel distretto di Subiya, nel nord del paese. Il progetto, avviato nel 2014 e che dovrebbe essere completato entro il 2035, prevede la costruzione di una vera e propria area urbana da 250 km quadrati comprendente una riserva naturale, una zona di libero scambio, un nuovo aeroporto, strutture congressuali e turistiche, oltre che lo sviluppo del porto Mubarak al-Kabeer, sull’isola Bubiyan.

Il riferimento alla seta non è casuale: lingue ufficiali nella città saranno arabo, inglese e cinese. Nel maggio 2019 è stato inaugurato il ponte Sheikh Jaber al-Ahmad al-Sabah che connette l’area urbana di Silk City alla capitale Kuwait City. Si tratta di uno dei ponti più lunghi al mondo, dalla lunghezza totale di circa 50 km. La realizzazione di questi progetti richiede però la predisposizione di una nuova cornice legislativa, che dovrà essere approvata dal parlamento: la zona di libero scambio dovrà godere di uno status giuridico-amministrativo autonomo allo scopo di favorire gli investimenti stranieri, mentre la volontà di attrarre turisti da tutto il mondo potrebbe portare al rilassamento di alcune norme che regolano la vita sociale, come per esempio il divieto di consumo di alcolici.

Al successore dell’emiro al-Sabah spetterà quindi il non facile compito di presiedere il processo politico che dovrà portare alla effettiva realizzazione del piano di riforme economiche. Già nel 2014 il governo si era scontrato con il parlamento quando, a causa dell’abbassamento del prezzo del petrolio, aveva introdotto misure di austerità allo scopo di creare entrate fiscali e ridurre la spesa pubblica, soprattutto quella improduttiva ampiamente presente sotto forma di benefit e sussidi. La successiva ripresa dei prezzi, che ha dato sollievo alle casse dello Stato, unita al fatto che il Kuwait ha il prezzo di break-even più basso di tutto il Consiglio di Cooperazione del Golfo (48$ al barile), ha reso però meno urgente, almeno all’apparenza, la questione delle riforme. Il parlamento ha dunque sistematicamente respinto o edulcorato le misure di riforma previste, come il taglio dei sussidi sull’acquisto di benzina o l’introduzione della tassa sul valore aggiunto dei beni.

Ma le sfide che attendono il successore dell’emiro al-Sabah non sono legate solamente allo sviluppo economico del paese. Egli si troverà infatti a giocare sfide altrettanto complesse sul piano regionale.

Il piccolo Kuwait, appartenente al Consiglio per la Cooperazione del Golfo (GCC), è infatti uno degli attori più importanti per la mediazione e la risoluzione delle controversie in una delle regioni più conflittuali al mondo. Nella sua lunga vita come emiro (dal 2006 a oggi), ma prima ancora come ministro degli Esteri (1963-2003), al-Sabah ha agito per il posizionamento del Kuwait come facilitatore in numerose crisi regionali, riportando successi e insuccessi ma sempre preservando una certa equidistanza dagli ingombranti vicini regionali.

Se la tradizione di mediazione del paese risale indietro nei decenni, l’eredità e la memoria dell’invasione irachena del 1990 rappresenta ancora oggi uno dei principali incentivi alla ricerca della neutralità e soprattutto della stabilità regionale. I tentativi più recenti in questo senso sono rappresentati dagli sforzi diplomatici messi in atto per ricucire lo strappo apertosi in seno al GCC dopo l’isolamento del Qatar da parte del “quartetto” (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Egitto), e per evitare che il confronto tra Iran e Stati Uniti (riaccesosi dopo l’abbandono da parte degli Usa del JCPOA) sfoci in un più ampio conflitto regionale. La consapevolezza della propria vulnerabilità di fronte a crisi come quelle in Iraq o in Siria, motivano poi una certa attenzione per il legame tra prosperità, sviluppo sociale e stabilità. Da qui l’impegno anche economico del paese come donor in numerosi contesti bellici o post-bellici: tra gli esempi più recenti l’organizzazione a partire dal 2013 di una serie di conferenze per il coordinamento dell’assistenza umanitaria in Siria, ma anche della conferenza sulla ricostruzione irachena organizzata nel febbraio 2018 come primo atto del proprio insediamento a membro non permanente del Consiglio di sicurezza Onu per il biennio 2018-2020.

La resistenza da parte del Kuwait a unirsi al fronte saudita-emiratino nel blocco del Qatar non ha messo a repentaglio la relazione con Riyadh, che rimane partner imprescindibile. Con l’Arabia Saudita ci sono però diverse questioni in sospeso: prima fra tutte, oltre allo sblocco dello stallo sul Qatar, la riapertura della zona neutrale condivisa che ospita giacimenti di petrolio onshore (Wafra field) e offshore (Khafji). I due giacimenti erano stati chiusi tra il 2014 e il 2015, rimuovendo circa 500.000 barili al giorno dal mercato globale del petrolio. Le discussioni sulla loro riapertura sono riprese nel 2018, quando in vista dell’entrata in vigore delle sanzioni USA sul greggio iraniano (novembre 2018) si era resa necessaria la ricerca di modi per aumentare la produzione e evitare shock di mercato. Una prima riapertura ha preso avvio nel luglio di quest’anno.

Chiunque sia il successore dell’emiro al-Sabah, dovrà dimostrare di saper condurre il paese attraverso acque agitate, salvaguardando una certa indipendenza ma non alienandosi alleati e vicini regionali. Di fronte alla crescente polarizzazione e al deterioramento della sicurezza nella regione, la capacità da parte della futura leadership del Kuwait di preservare il proprio ruolo di mediatore appare una variabile chiave per il futuro del paese e della regione.

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