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Dossier

Le piazze sono tornate

Nicola Missaglia
07 November 2019

Da Hong Kong a Santiago del Cile, passando per Baghdad, Beirut e Barcellona: gli ultimi mesi sono state le grandi proteste di massa a tenere banco sui media internazionali. Le piazze rivendicano diritti calpestati non solo da regimi e modelli economici iniqui, ma anche da governi democratici, accusati di corruzione, inefficienza e politiche ingiuste. Si protesta per motivi e con modalità diverse, ma ad accomunare le manifestazioni di mezzo mondo c’è un elemento trasversale: la frustrazione per le ineguaglianze che negli ultimi decenni si sono incuneate tra ricchi e poveri, élite e persone comuni, istituzioni e cittadini. Il rincaro dei trasporti cileni, le tasse su WhatsApp in Libano o la legge sull'estradizione a Hong Kong sono solo le gocce che stanno facendo traboccare i vasi di malcontenti ben più radicati: “Non stiamo protestando per WhatsApp, siamo qui per tutto il resto: per il carburante, il cibo, il pane, per tutto” è il grido della piazza a Beirut; un grido che fa apparire realtà tra loro lontane improvvisamente così vicine. Alcune risposte sono già arrivate, come le dimissioni del premier Hariri in Libano, il ritiro del disegno di legge a Hong Kong o il mantenimento dei sussidi in Ecuador: a dimostrazione che la piazza – a ogni latitudine – può raggiungere i propri obiettivi contingenti, e andare persino oltre. Ma perché il mondo sta scendendo in piazza? C’è davvero un comune denominatore tra i movimenti di protesta degli ultimi mesi nelle varie parti del globo? Le piazze tornano ad aver un ruolo politico nelle nostre società? E quali sono le loro proposte?

 

Il commento del Direttore Paolo Magri al Tg1

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