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Daily focus

Iraq, vecchi e nuovi fantasmi

11 November 2019

L'Isis rivendica l'attacco in cui cinque militari italiani sono rimasti feriti. L'esplosione è avvenuta ieri nei pressi di Kirkuk, nell'Iraq settentrionale, quando un ordigno rudimentale è detonato al passaggio di un team misto di Forze speciali italiane in Iraq.

 

Sono le 11 e 15 di domenica quando lo spettro del terrorismo si affaccia inaspettato nelle case degli Italiani. Da Kirkuk, nord dell’Iraq, le prime confuse notizie riportano di cinque militari italiani feriti da un ordigno esploso durante una ricognizione. Tre sono gravi, anche se nessuno è in pericolo di vita. Almeno due hanno subito interventi chirurgici importanti. Tutti – riferisce il ministero della Difesa - sono stati “prontamente evacuati” all’ospedale americano di Baghdad. Poco più di 24 ore dopo arriva, puntuale sui social, la rivendicazione dello Stato Islamico. La mente corre al nome di un’altra città irachena: Nassiriya, 12 novembre 2003, e all’attentato in cui morirono 19 italiani (12 carabinieri, 5 militari e due civili) e nove iracheni. L’Italia allora partecipava alla missione internazionale “Antica Babilonia”. Fu la nostra ‘Ground zero’ irachena, come qualcuno la definì allora.

Sedici anni dopo, la situazione nel paese è profondamente cambiata eppure l’attacco conferma di una rinnovata insicurezza. Attacchi con ordigni rudimentali, frequenti negli ultimi mesi soprattutto in quella zona, si innestano in un contesto segnato da massicce  proteste al centro-sud, tracciando il quadro di un paese ancora fragile, dove è difficile parlare di stabilità. 

 

Dove è successo?

Le notizie sul dove sia accaduto l’attentato sono generiche. Si ritiene che sia avvenuto nell'area di Kirkuk, al confine tra la regione semi autonoma del Kurdistan iracheno e i territori dell'Iraq federale. Una delle aree più tormentate di tutto l’Iraq, che copre parte della cosiddetta Piana di Niniveh e parte del Kurdistan iracheno, ed è ricca di petrolio. Proprio qui, gli organismi di intelligence segnalano un incremento dell’attività terroristica con oltre 30 attacchi solo nella prima metà di ottobre. Non è un caso: “Quello che è certo è che ci troviamo in una delle famose “zone contese” tra il governo federale iracheno e le autorità regionali curde” spiega Chiara Lovotti, ricercatrice Ispi – un’area in cui la gestione della sicurezza è inefficace e dove la presenza di forze numerose e variegate (esercito iracheno, peshmerga curdi e unità di mobilitazione popolare), non fa che complicare il quadro”. Le tensioni latenti e lo scarso coordinamento tra le forze in campo hanno reso queste aree un rifugio ideale per ciò che resta dello Stato Islamico, lupi solitari e gruppi armati. Una base ideale per lanciare attacchi contro l’esercito regolare o esponenti politici. In altre parole, sottolinea Lovotti “l’attentato al convoglio italiano ci ricorda che il terrorismo si insinua laddove esistono divisioni e frammentazione, e che anzi proprio di queste si nutre”. 

 

Cosa fanno i militari italiani in Iraq?

In Iraq i militari italiani sono impegnati nella missione “Prima Parthica / Inherent Resolve”. Si tratta di una coalizione multinazionale contro lo Stato Islamico in Siria e in Iraq a cui partecipano 79 paesi e cinque Organizzazioni internazionali. Il contributo italiano, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della Difesa, è di 868 effettivi delle forze armate, di cui circa 500 in Iraq. Un numero cospicuo, che ne fa la prima per le forze armate all’estero per numero di effettivi, subito dopo quella in Libano. Svolgono quello che in gergo si chiama “mentoring and traninig”, compiti di addestramento e supporto alle Forze di sicurezza irachene e ai Peshmerga curdi in funzione anti-Isis. La deflagrazione di ieri, causata da uno Ied, un ordigno artigianale, ha investito tre appartenenti al Goi, il Gruppo operativo incursori  della Marina, e due paracadutisti del 9° reggimento Col Moschin, che svolgevano attività di supporto a una unità di forze speciali dei Peshmerga. Non è chiaro se siano loro, in quanto militari italiani, il bersaglio dell’esplosione. L’area – al centro di violenti combattimenti negli ultimi anni – resta disseminata di ordigni esplosivi, memorie mortali di conflitti passati e presenti.

 

Isis, minaccia o propaganda?

"I soldati del Califfato hanno colpito un mezzo blindato 4x4 con a bordo esponenti delle forze della colazione internazionale crociata e dell’antiterrorismo dei peshmerga nella zona di Qurajai, a nord di Kufri, tramite l’esplosione di un ordigno piazzato sul terreno", si legge nel comunicato di propaganda diffuso dall'agenzia di stampa Amaq, organo di stampa ufficiale del Califfato, ripreso dal gruppo di monitoraggio del terrorismo di matrice jihadista Site. La Procura di Roma indaga per “attentato con finalità di terrorismo e lesioni gravissime”. Seppure agonizzante dopo le sconfitte degli ultimi tre anni nelle roccaforti in Iraq e Siria, lo Stato Islamico dimostra di essere ancora capace di compiere atti di guerriglia come quello avvenuto ieri. A una decina di giorni dalla nomina del nuovo “Califfo”, Abu Ibrahim al-Qurashi, l’organizzazione cerca di accreditarsi, ricordando al mondo che è ancora viva e capace di agire. Allo stesso tempo, l’azione manda un forte segnale alla multiforme galassia del sunnismo radicale e ai sostenitori dello Stato Islamico. Una sorta di ammonimento per tutti: la morte di Al Baghdadi non segna la fine del Califfato. 

 

 

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A cura della redazione di ISPI Online Publications  (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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