Armenia, Azerbaigian e Russia firmano un’intesa per la fine dei combattimenti. Ma dietro l’accordo ci sono vincitori e vinti. Tra i primi c’è anche la Turchia di Erdoǧan.
Una folla di persone infuriate si è riversata questa mattina nel parlamento di Yerevan, in Armenia, saccheggiando e vandalizzando l'ufficio del primo ministro accusandolo di “tradimento”. La rivolta è avvenuta poco dopo l’annuncio di un accordo siglato da Armenia, Azerbagian e Russia per porre fine al conflitto militare nella contesa enclave del Nagorno-Karabakh. Un accordo che il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha definito "incredibilmente doloroso sia per me che per il nostro popolo”, ma dettato dalla volontà di porre fine ai combattimenti, in corso nella regione da oltre sei settimane. “Oggi viene tracciata una svolta nella risoluzione del lungo conflitto tra Armenia e Azerbaigian. L'occupazione dei territori azeri sta giungendo al termine e la soluzione sarà vantaggiosa sia per il popolo dell'Azerbaigian, sia per il popolo dell'Armenia e per tutti i popoli della regione” ha dichiarato da Baku il presidente azero Ilham Aliyev.
Il Nagorno-Karabakh, abitato in larghissima maggioranza da armeni, ricevette in epoca sovietica lo status di regione autonoma. Nel 1994, dopo una rivolta armata sostenuta da Yerevan, ha proclamato la propria indipendenza dall’Azerbaigian col nome di Repubblica dell’Artsakh, mai riconosciuta a livello internazionale. Da allora il conflitto si è riacceso periodicamente lungo la linea del fronte, ma gli scontri dell’ultimo mese e mezzo sono stati in assoluto i peggiori e hanno rischiato di trasformare un conflitto locale in una guerra regionale: la Turchia, che definisce l’Azerbaigian paese “fratello”, ha dichiarato che avrebbe sostenuto Baku “con ogni mezzo”, mentre Mosca, tradizionalmente vicina all’Armenia, ma legata da buoni rapporti anche all’Azerbaigian ha rifornito di armi entrambi i contendenti.
Cosa prevede l’accordo?
L’accordo di cessate-il-fuoco è entrato in vigore stanotte e prevede che l'Azerbaigian mantenga le aree conquistate negli scontri di queste settimane. Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato anche il dispiegamento di peacekeepers russi per pattugliare le linee del fronte e garantire la tregua nei combattimenti. L'accordo garantisce anche un corridoio di terra che collega il Nagorno-Karabakh all'Armenia, che sarà monitorato dalle forze di pace russe, così come un ritiro scaglionato delle forze armene dai distretti azeri che circondano l'enclave entro il 1° dicembre. Il ministero della Difesa di Mosca ha confermato che nelle operazioni saranno coinvolti 1.960 uomini e diversi aerei cargo hanno già lasciato la base aerea di Ulyanovsk per trasferire soldati e veicoli corazzati in Karabakh. Armenia e Azerbaigian hanno concordato di scambiarsi i prigionieri e di restituire alla parte avversaria i corpi di coloro che sono morti nel conflitto. Nel discorso alla nazione trasmesso in diretta televisiva dopo la firma dell’accordo, il presidente azero Ilham Aliyev, ha parlato di “resa” da parte dell'Armenia, ha assicurato “pace a lungo termine” e rivendicato il trionfo del diritto internazionale e l’attuazione di risoluzioni delle Nazioni Unite precedentemente adottate, rimaste sulla carta – ha detto – per molto tempo.
Un posto a tavola per Erdogan?
In passato, l’Armenia ha accusato Ankara di aver inviato i suoi contractors sul campo per sostenere le truppe azere. Un’accusa smentita dalla controparte. Ma secondo esperti militari, a dare la svolta in quest’ultima fase dei combattimenti sarebbero stati proprio i droni turchi, oltre a quelli israeliani, a garantire all’Azerbaigian una netta superiorità tecnologica. Ed è grazie alle vittorie sul campo che Baku ha ripreso il controllo del suo confine con l'Iran. Di certo, anche se non figura tra i firmatari dell’accordo, Ankara può a buon diritto ritenersi tra i vincitori del conflitto transcaucasico. L'Azerbaigian è fondamentale per la sicurezza energetica della Turchia ed è un importante investitore nella traballante economia turca. Le importazioni di gas dal paese sono aumentate del 23% solo nella prima metà del 2020 e Socar, la compagnia petrolifera azera, è diventato il più grande investitore straniero in Turchia. Inoltre, come riferito dall’ex diplomatico turco Sinan Ulgen ad Al Jazeera, il presidente Erdogan “punta ad ampliare la sua influenza nella regione, per poter negoziare con Mosca su altri fronti caldi, come Siria e Libia”.
Una decisione dolorosa?
Poco dopo l’annuncio dell’accordo, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che la sua decisione si è basata su “analisi approfondite della situazione sul campo e confrontandosi con i migliori esperti del settore”. Un altro modo per dire che dopo la perdita di Shusha (Shushi in armeno) la seconda città della regione, un cessate-il-fuoco era inevitabile. E una precisazione che non è bastata a scoraggiare la folla di manifestanti dall’irrompere in parlamento. Le autorità del Nagorno-Karabakh affermano che circa 1.200 militari sono morti nei combattimenti e numerosi civili sono stati uccisi o feriti. L'Azerbaijan non ha rilasciato i dati sulle vittime militari, ma riferisce che più di 80 civili sono stati uccisi nei combattimenti, di cui 21 in un attacco missilistico sulla città di Barda il mese scorso. L’Armenia inoltre deve affrontare una grave crisi di rifugiati: secondo fonti armene, sono oltre 100 mila i civili fuggiti dal Nagorno-Karabakh per trovare riparo in Armenia, la cui popolazione complessiva non arriva a tre milioni di abitanti.
Il commento
Di Aldo Ferrari, Head Osservatorio Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’ISPI
“Con questo accordo Mosca mantiene il suo ruolo di arbitro nel Caucaso meridionale, ma al tempo stesso deve riconoscere alla Turchia una posizione importante nella regione, il che non può certo essere considerato un successo.
Sarebbe opportuno che la comunità internazionale, l’Europa in primis – finora totalmente assente, in particolare di fronte al pesante coinvolgimento di Ankara – si impegnasse almeno a evitare che l’esito del conflitto divenga una tragedia umanitaria e culturale per l’intero popolo armeno”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)