In pochi giorni molti colpi tra Iran e Israele, entrati in una dinamica dove ogni notizia collegata può avere un fondamento, ma anche parte della guerra di propaganda.
Primo. Gerusalemme continua la campagna per rallentare il programma nucleare degli ayatollah. Con l’eliminazione di scienziati, compreso il responsabile del piano Mohsen Fakrizadeh. Con azioni segrete e sabotaggi. Clamoroso quanto avvenuto nel centro per le centrifughe di Natanz, bersaglio a distanza di pochi mesi di due operazioni attribuite al Mossad. Nell’ultimo episodio si è inizialmente parlato di un’intrusione cyber, ma questa versione è poi mutata: qualcuno ha portato un ordigno dall’esterno ed è riuscito a piazzarlo in uno snodo cruciale dell’impianto. Le stesse fonti iraniane hanno riconosciuto il livello di sofisticazione. È evidente che il Mossad ha creato all’interno della Repubblica islamica una rete in grado di condurre missioni contro target protetti. Probabile che siano elementi locali, reclutati da molto tempo, con buone coperture. Non sarebbe strano se tra loro vi fossero appartenenti alla sicurezza. Gli agguati contro gli ingegneri, lo stesso omicidio Fakhrizadeh sul quale girano molte ricostruzioni, gli «incidenti» a ripetizione in siti strategici sono possibili perché l’intelligence dello stato ebraico ha un lungo braccio. Che non solo ostacola i progetti, ma aumenta anche il senso di frustrazione e il dubbio. Le autorità devono capire come sia possibile che ciò avvenga, crescono i contrasti tra gli apparati sulle responsabilità nei buchi difensivi, aumenta l’imbarazzo.
Secondo. È in corso una sfida in mare. Gli israeliani attaccano petroliere della Repubblica islamica dirette in Siria e la Saviz, nave-appoggio schierata nel Mar Rosso con funzioni di supporto e intelligence. I pasdaran rispondono con la stessa moneta, almeno tre cargo dello stato ebraico danneggiati in punti diversi del Golfo. È una guerra di ombre, affidata a uomini-rana, battelli speciali, incursori trasferiti da sommergibili. I contendenti sembrano voler evitare che il duello degeneri, le esplosioni sono per fortuna contenute, è come se ci fossero delle regole non scritte per tenere il livello della fiamma non troppo alto. Non è un inedito: Hezbollah e Israele si sono spesso affrontati sul confine libanese secondo questo schema, consapevoli dei rischi di un’escalation. L’esperto Yossi Melman, però, avverte sulle pagine di Haaretz che la decisione di Bibi Netanyahu di allargare la battaglia alle rotte marittime è una scommessa: la Marina è moderna, ha ottimi mezzi anche se non sufficienti per poter operare lontano dalle proprie coste in modo continuativo e il paese dipende dai rifornimenti dei mercantili. Infatti i sabotatori khomeinisti sono andati a cercare le prede in acque vicine.
Terzo. Non si fermano i raid aerei contro obiettivi in Siria dove agiscono milizie sciite filo-Teheran e gli stessi guardiani della rivoluzione. Stretto «trattamento» per spedizioni di armi, aerei da trasporto, depositi. Sono dozzine i bombardamenti condotti senza che i siriani abbiano potuto fare barriera e soprattutto senza che vi fosse una reazione dura da parte di Mosca. In fondo i militari di Putin hanno un controllo profondo dello spazio aereo di Damasco, ma lasciano fare. Più attivi invece in alto mare, in quanto la Marina avrebbe iniziato a scortare le petroliere iraniane che hanno come approdo finale scali siriani.
Rispetto a quanto abbiamo in passato, però, ci sono maggiori informazioni perché le parti fanno uscire indiscrezioni, le passano a media stranieri. In un caso sembra che le informazioni su un blitz israeliano siano trapelate prima ancora che si verificasse. Gerusalemme ha deciso di procedere lo stesso. È andata così? Non lo sappiamo, però la narrazione entra nel gioco. E non c’è dubbio che alcune storie diventano pubbliche perché a Washington la nuova amministrazione, impegnata a tessere una tela di dialogo con l’Iran, teme che le manovre di Israele possano trasformarla in una matassa ingarbugliata. Hanno anche paura che i pasdaran vogliano vendicarsi sul serio e non limitandosi più a gesti dimostrativi. Un passo più lungo del dovuto, ciò che gli israeliani sperano per usarlo contro i mullah. Però già il fatto che si discuta sul livello della risposta diventa un modo per frenarla.