Gli equilibri regionali in Asia stanno attraversando una fase di fortissimo cambiamento. Per questa ragione, diventa ogni giorno più urgente capire quale potrebbe essere il nuovo paradigma in grado di consentire agli Stati e alle comunità interessate di trovare un nuovo compromesso.[1]
In questo articolo si ritiene che lo stesso concetto di Indo-Pacifico, inteso come nuovo sistema di multipolarismo regionale che si estende dall’Asia orientale alle coste occidentali dell’Africa, possa permettere di trovare un punto di incontro tra le varie visioni regionali che hanno iniziato ad affermarsi negli ultimi anni.
La prima, quella cinese della Nuova Via della Seta, conferma che l’interesse di Pechino è quello di creare una regione sino-centrica. Il concetto di “Asia-Pacifica” ha funzionato bene in quel periodo in cui la Cina si proponeva come una potenza “pacifica” e “interessata al multilateralismo”, una rappresentazione regionale che però mostra da sempre almeno due limiti: nei suoi confini, poiché le ambizioni della regione sino-centrica a cui aspira Pechino vanno ben oltre le frontiere dell’Asia-Pacifica, e nella centralità dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) al suo interno.
La seconda, quella americana, mira invece ad accerchiare la Cina. Questa strategia di contenimento è stata inaugurata con il “Pivot to Asia” della presidenza Obama nel 2011-12 e con i negoziati sul Partenariato Trans-Pacifico che l’hanno accompagnata. Donald Trump aveva poi deciso di spendersi per un confronto ancora più diretto con la Cina (iniziato con una guerra commerciale rapidamente trasformatasi in battaglia tecnologica e, in certa misura, in uno scontro tra valori cinesi e valori occidentali). Joe Biden ha, a sua volta, confermato come la competizione con la Cina rappresenti “la più grande sfida geopolitica del XXI secolo”, sembrando ancora più determinato del suo precessore a creare una rete di alleanze volte a isolare la Cina, in Asia come altrove.
La terza visione di Indo-Pacifico, quella delle medie potenze, regionali e non, è fondata su una logica di rispetto del diritto internazionale e di promozione degli interessi collettivi in un contesto multipolare. Paesi come India, Australia e Giappone sembrano convinti che l’idea di “multipolarità”, presentata come diretta conseguenza di un processo di regionalizzazione sempre più attivo, possa essere la più efficace per favorire l’affermazione di un nuovo sistema di equilibrio di potere, in grado di promuovere una cooperazione orientata alla ricerca di soluzioni per questioni concrete, senza mai chiudere la porta a Cina e Stati Uniti.
Qual è la posizione dell’Unione Europea in merito? Esistono certamente almeno due validi motivi per cui Bruxelles farebbe bene a definire in maniera più chiara il suo approccio nei confronti di questa nuova regione.
Il 19 aprile 2021, il Consiglio europeo ha approvato le conclusioni relative a una strategia indo-pacifica che la Commissione europea e l'Alto Rappresentante dovranno provvedere a definire nel dettaglio entro il prossimo settembre. Con l'intento di contribuire alla capacità di agire come attore globale, l'UE ha iniziato a porre le basi di un orientamento strategico del tutto inedito. Una scelta dettata sì della sua interdipendenza economica con la regione, ma anche dalla necessità di tutelare gli interessi compromessi dall'“intensa concorrenza geopolitica”, dalle “crescenti tensioni negli scambi commerciali” e della messa in discussione dell’“universalità dei diritti umani”.
A tal fine, il documento si propone di definire la presenza e le azioni future di Bruxelles per concorrere “alla stabilità, alla sicurezza, alla prosperità e allo sviluppo sostenibile della regione, sulla base della promozione della democrazia, dello Stato di diritto, dei diritti umani e del diritto internazionale”.
Questa cornice cooperativa che ricalca in parte le orme di Francia, Germania e Olanda, che hanno già formalizzato una strategia nazionale nei confronti dell’Indo-Pacifico, dovrà anche inevitabilmente riflettere l'immagine geopolitica degli altri 24 Stati Membri, i quali mancano però degli strumenti e delle capacità necessarie per proiettarsi in questo nuovo mondo multilaterale.
Questa situazione è alla base di un dilemma chiave per quel che riguarda la definizione del ruolo dell’UE nel contesto dell’Indo-Pacifico. Come poter conciliare la necessità di agire in un’area in cui il coordinamento non potrà che rimanere difficile con l’attivismo di nazioni che non vogliono essere lasciate ai margini di una regione da loro stessi riconosciuta determinante per gli equilibri globali del prossimo futuro?
È possibile, e auspicabile, che il documento di settembre possa dare delle risposte più chiare considerando, appunto, i due vantaggi strategici che Bruxelles potrebbe ottenere grazie a un maggiore investimento nell’Indo-Pacifico.
Il primo consiste nella possibilità di rilanciare il dibattito strategico regionale nell’era post Brexit, concentrandosi su un’area che anche la Gran Bretagna ha identificato come strategica e in cui punta a ritagliarsi un ruolo chiave. In quest’ottica, resterà difficile trovare un compromesso tra le varie velocità che contraddistinguono i diversi stati membri. Sebbene un compromesso potrebbe essere individuato riconoscendo a Parigi e Berlino il ruolo di leadership cui ambiscono, resta difficile immaginare che l’Europa possa lasciare il timone della sua linea indopacifica a queste due nazioni senza suscitare invidia o scetticismo nel resto della regione.
In secondo luogo, questa nuova forma di multilateralismo potrebbe permettere a Bruxelles di ritrovare un po’ di autonomia strategica rispetto a Pechino e Washington. Il concetto di Indo-Pacifico che piace all’Europa è “aperto” e “inclusivo”, il che vuol dire che nessun paese sarà mai messo ai margini dalle varie iniziative di collaborazione lanciate al suo interno. Stati Uniti e Cina inclusi.
Grazie a un Indo-Pacifico “aperto”, Stati Uniti e Cina si ritroverebbero inevitabilmente costretti ad abbandonare i rispettivi progetti di creare un’alleanza anticinese o una regione sino-centrica, e non avrebbero altra possibilità se non quella di collaborare con le medie potenze. Allo stesso tempo, un coordinamento serio e pragmatico tra queste ultime toglierebbe ogni spazio per il consolidamento di alleanze trasversali, confermando quindi il multilateralismo come unica strada percorribile.
I vantaggi strategici di questo scenario sono chiari. Resta da vedere se l’Unione Europea, assieme a Giappone, Australia e India, confermerà la volontà politica ed economica di procedere in questa direzione. Per quel che riguarda Bruxelles, la speranza è che il documento che sarà pubblicato a settembre possa sciogliere alcuni di questi nodi.
[1] Questo articolo è stato realizzato grazie alla collaborazione di Alida Azara, Ayrton Del Giudice, Lucrezia Luci e Waleriano Paissan.