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Le proteste

Kazakistan al bivio

07 January 2022

Il Kazakistan chiude le frontiere, e il presidente Tokaev respinge ogni ipotesi di mediazione con i manifestanti.

 

In Kazakistan infiamma la rivolta. Le proteste degli ultimi giorni, scatenatesi in seguito all’aumento dei prezzi dell’energia, avrebbero provocato – secondo una prima stima ufficiale - 26 morti, oltre 700 feriti e circa 3mila arresti. L’annuncio del governo di un intervento per calmierare il prezzo del gas per sei mesi, in un paese in cui il Gpl è largamente usato come carburante per le auto non è bastato a placare gli animi e l’esecutivo si è dimesso subito dopo. Su richiesta del presidente Kassym-Jomart Tokaev, che ha definito i manifestanti “una banda di terroristi” e dichiarato che il Kazakistan è “sotto attacco” da parte di forze esterne, nel paese sono state dispiegate le forze del Collective Security Treaty Organization (Csto) l’alleanza militare che raggruppa nazioni ex sovietiche rimaste nell'orbita di Mosca. Il governo ha anche cercato di sedare le manifestazioni istituendo lo stato di emergenza e bloccando i social network tra cui Facebook, WhatsApp, Telegram e, per la prima volta, l’app cinese WeChat. Con pochi osservatori indipendenti presenti sul posto non è chiaro se, come sostiene il presidente, l’arrivo dei militari sia riuscito a ripristinare l’ordine nel paese. Di certo c’è che le proteste, esplose prima nelle regioni occidentali del paese e poi propagatesi nelle principali città come Almaty, siano le peggiori mai verificatesi in era post- sovietica e che ormai al quinto giorno, quella in atto non sia più solo una protesta per i prezzi del gas.

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Pilastro dell’Asia Centrale?

Stretto tra Russia e Cina, il Kazakistan è il più grande paese al mondo senza uno sbocco sul mare. La sua estensione territoriale è superiore a quella dell'intera Europa occidentale, sebbene conti una popolazione di appena 19 milioni di abitanti. Considerato un pilastro per la stabilità politica ed economica dell’Asia Centrale, negli ultimi anni ha rappresentato al tempo stesso un canale per le ambizioni economiche della Cina, un alleato chiave della Russia e un interlocutore amichevole per gli Stati Uniti e l'Unione Europea. È stato governato per trent’anni con il pugno di ferro da Nursultan Nazarbaev, che ha lasciato la presidenza nel 2019 ma ha mantenuto il controllo del paese guidando il Consiglio nazionale per la sicurezza. Il suo successore, Tokaev, aveva promesso riforme politiche che non sono mai state avviate, e le aspettative deluse della popolazione – soprattutto tra le giovani generazioni – hanno nutrito il malcontento. In un discorso alla nazione pronunciato questa mattina, il presidente ha annunciato di aver autorizzato le forze dell’ordine a sparare sui manifestanti. “I terroristi continuano a danneggiare la proprietà statale e privata e ad usare armi contro i cittadini – ha dichiarato – per questo ho dato l'ordine alle forze dell'ordine e all'esercito di aprire il fuoco per uccidere senza preavviso”.

 

 

Stabilità regionale a rischio?

A preoccupare gli osservatori esterni sono anche le ripercussioni che la crisi kazaka minaccia di avere sulla stabilità regionale. Il paese membro del Csto ha invocato la clausola di protezione, e l’arrivo di militari stranieri potrebbe avere conseguenze radicali a livello geopolitico. Dopo le proteste a favore della democrazia in Ucraina nel 2014 e in Bielorussia nel 2020, quella in Kazakistan è la terza rivolta contro una nazione autoritaria, allineata al Cremlino e per di più arriva in un momento delicato, reso ancor più incandescente dalle tensioni nella vicina Ucraina. La Russia ha un chiaro interesse nella stabilità del paese, con cui condivide un lungo confine di quasi 8mila chilometri. Inoltre altri paesi dell'ex Unione Sovietica stanno osservando con attenzione gli eventi in Kazakistan che – suggeriscono gli analisti - potrebbero generare fenomeni di emulazione. Per questo, su richiesta del governo, un contingente russo – formalmente ‘una missione di peace-keeping’ - è già arrivato in Kazakhstan. Si tratta di tremila uomini della 45esima brigata speciale aviotrasportata, incaricati di garantire l’integrità delle strutture strategiche, mentre le forze dell’ordine locali penseranno all’ordine pubblico. Nel paese – eldorado del ‘cryptomining’, una delle cause dell'aumento del costo dell'energia elettrica, si trovano importanti giacimenti petroliferi, miniere di uranio e anche la base di lancio Baykonur, usata dal programma spaziale russo.

 

Fine dell’era Nazarbayev?

Formalmente le proteste degli ultimi giorni hanno già ottenuto un risultato politico importante: Nursultan Nazarbayev, il ‘leader della nazione’ di 81 anni, è stato messo da parte, e ci sono voci che suggeriscono persino che potrebbe aver lasciato il paese. Sulla scia delle proteste di questa settimana, infatti, Tokaev – finora considerato il suo burattino - ne ha annunciato le dimissioni dal Consiglio nazionale per la sicurezza assumendo personalmente il suo incarico. Di fatto, anche dopo le dimissioni e l'elezione di Tokaev alla presidenza, la figura di Nazarbayev era rimasta centrale nelle stanze del potere e sua figlia maggiore, Dariga, era stata eletta presidente del Senato due anni fa. L'ex presidente, padre della nazione, ha anche dato il suo nome alla luccicante capitale Astana, che dal 2019 si chiama ‘Nur-sultan’, in kazako “sultano di luce”. Oggi l’immagine della sua statua rovesciata nella piazza principale di Almaty ha fatto il giro del web. Trent'anni dopo il crollo dell'Unione Sovietica, le proteste che scuotono il Kazakistan potrebbero segnare la fine della lunga presa di potere di Nazarbayev, ma non è detto che il paese – ricco di risorse energetiche e al crocevia di molti interessi – si stia finalmente incamminando lungo la strada della democrazia.

 

Il commento

Di Eleonora Tafuro Ambrosetti, ISPI Research Fellow

“Il Kazakistan non è solo il paese centroasiatico più ricco e politicamente importante - membro chiave della CSTO, della SCO e dell’Unione Eurasiatica. In Kazakistan quasi un quinto degli abitanti è di etnia russa. Questo non è un fattore secondario nella decisione russa di acconsentire all’intervento della CSTO e a mandare ben 1950 soldati (un contingente molto più numeroso rispetto a quelli inviati dagli altri membri). Il successo di quest’operazione e il ripristino della stabilità kazaka sarebbe funzionale ad accrescere la percezione della Russia come attore fondamentale dello spazio post-sovietico – un risultato di prestigio, molto utile in vista degli imminenti negoziati con gli Stati Uniti sull’Ucraina”.  

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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