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Il vertice CSTO

Caucaso: in Armenia Putin non è più il benvenuto

Eleonora Tafuro Ambrosetti
26 November 2022

Quando nel 2013 l’allora Presidente armeno Serzh Sargsyan decise di cedere alle pressioni russe e aderire all’Unione economica eurasiatica invece di firmare l’Accordo di associazione con l’UE, molti si sorpresero per la scarsità di proteste della società civile armena. Fu organizzata qualche manifestazione antirussa, ma si trattava di fenomeni tutto sommato marginali rispetto alla rivoluzione che una situazione simile aveva causato nella vicina Ucraina.  

Nuove proteste antirusse hanno scosso la capitale armena Yerevan nei giorni scorsi: centinaia di armeni hanno contestato la visita del presidente russo Vladimir Putin, arrivato per un vertice il 23 novembre dell'Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), un blocco militare dominato dalla Russia di cui fanno parte Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan.  I numeri non sono molto più alti rispetto alle manifestazioni passate, come quelle del 2013. Questa volta, le ragioni che animano i manifestanti sono però più numerose e politicizzate rispetto agli episodi precedenti e la nuova congiuntura politica regionale rafforza le istanze di chi vorrebbe che l’Armenia si distanziasse dallo storico alleato russo. Tuttavia, la forte dipendenza armena da Mosca riduce notevolmente le possibilità di una politica estera più indipendente.  

Una visita scomoda

La precedente visita di Putin a Yerevan risaliva al 2019, prima dello scoppio della pandemia, ma soprattutto, prima della guerra del 2020 in Nagorno Karabakh, la regione contesa tra Armenia e Azerbaigian. Più di settemila soldati e civili furono uccisi in quest’ennesimo episodio di una guerra che continua da oltre trent’anni; dopo oltre quaranta giorni di aspri combattimenti, un cessate-il-fuoco mediato dalla Russia ha sancito la cessione armena a Baku di parti di territorio che controllava da decenni e lo schieramento di circa 2000 peacekeeper russi per monitorare la tregua. Tregua che, però, è stata nuovamente violata lo scorso settembre, tra accuse reciproche di provocazioni, attacchi sferrati dall’Azerbaigian contro obiettivi in territorio armeno e più di 200 vittime da entrambe le parti. Di conseguenza, il processo di pace in corso, nonostante i timidi passi avanti, rimane estremamente complesso. 

In questo contesto, il vertice CSTO e la visita di Putin a Yerevan assumono una rilevanza diversa. I manifestanti hanno infatti criticato la membership dell'Armenia nella CSTO e l’alleanza con la Russia in generale, sostenendo che sia l’organizzazione che Mosca si sono dimostrate inutili nell’ambito del recente conflitto con l'Azerbaigian. Qualche ora dopo lo scoppio delle ostilità di settembre, infatti, il Consiglio di sicurezza armeno aveva chiesto assistenza sia alla CSTO che alla Russia, con cui l’Armenia è legata sulla base di un trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza firmato nel 1997. Invece di fornire supporto militare, come stipulato nel trattato (visto che gli attacchi di settembre sono stati perpetrati contro il territorio armeno), l'organizzazione ha deciso di inviare semplicemente una "missione valutativa" guidata dal segretario generale della CSTO, Stanislav Zas. Eppure, né prima dell'arrivo della missione in Armenia, né dopo la sua partenza, la CSTO ha condannato Baku per il suo attacco. Mosca, poi, ha chiarito da subito che non si sarebbe schierata in questa nuova escalation: pur descrivendo l'Armenia come un "amico intimo e alleato strategico" del suo paese, Putin ha evitato di esprimere sostegno diretto a Yerevan esortando entrambe le parti a "mostrare moderazione". Anche in quest’ultimo vertice, la CSTO si è dimostrata sostanzialmente incapace di (o non interessata a) sostenere l’Armenia, tanto che Pashinyan ha definito il vertice un “fiasco”. Putin ha affermato che solo attraverso l'attuazione coerente degli accordi sulla delimitazione delle frontiere, lo sblocco dei collegamenti di trasporto e le soluzioni ai problemi umanitari sarà possibile raggiungere la normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian, escludendo, dunque, qualsiasi supporto militare.

Nuovo contesto, vecchi problemi

Sembra evidente come la guerra di Mosca contro l’Ucraina stia obbligando la Russia a ridimensionare il suo impegno nelle altre crisi della regione, con implicazioni potenzialmente pesanti per lo storico ruolo russo di egemone regionale e security-provider. Il Caucaso del sud ne è l’esempio più lampante, soprattutto visto dal punto di vista armeno. L’attitudine russa sta infatti portando ad un declino del supporto popolare per Mosca. I dati per il 2022 del Caucasus Barometer, un sondaggio annuale condotta dal rinomato think tank Caucasus Research Resource Center, rivelano che solo il 35% degli intervistati considera la Russia l'alleato principale dell'Armenia, in calo di 22 punti rispetto al 2019 e di 48 punti rispetto al 2013, quando l'83% degli intervistati vedeva la Russia come il paese più vicino all'Armenia. 

Nonostante la crescita dei sentimenti antirussi, una svolta geopolitica dell’Armenia appare poco plausibile al momento. Yerevan si ritrova ad essere più dipendente che mai da Mosca. Nonostante le critiche e il maggiore impegno dell’UE nella mediazione del conflitto con Baku, Mosca rimane il principale interlocutore per l’Armenia e gli incontri tra funzionari armeni e russi sono diventati sempre più frequenti dalla fine della guerra del 2020 con l'Azerbaigian. Inoltre, le rimesse degli armeni emigrati, specialmente in Russia, hanno storicamente svolto un ruolo significativo nell'economia dell'Armenia: la Banca mondiale ha stimato a maggio che l'Armenia ha ricevuto oltre 1,6 miliardi di dollari in rimesse l'anno scorso, pari all'11,6% del PIL (e la maggior parte del denaro proveniva dalla Russia). L'Armenia, a sua volta, si è astenuta da molti voti antirussi nei fora internazionali (applicando una strategia di “silenzio strategico”), ha accettato di acquistare gas russo, da cui l’economia dipende, in rubli e prevede persino di stabilire un nuovo collegamento marittimo dalla Georgia verso la Russia per incrementare il commercio. Commercio che è cresciuto esponenzialmente, generando sospetti che Yerevan stia aiutando Mosca ad aggirare le sanzioni occidentali con la pratica del re-routing: le esportazioni armene verso la Russia, suo principale partner commerciale, sono aumentate del 49% nella prima metà del 2022 rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso (anche se, parallelamente, le importazioni sono cresciute del 42%). 

In questa situazione di acuita dipendenza dalla Russia, è chiaro come l'Armenia non possa permettersi di intensificare le fonti di attrito facendole sfociare in uno scontro aperto. Tuttavia, queste frizioni continueranno a minare l'immagine russa tra le élite politiche e, soprattutto, la popolazione armena.  

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Tags

Russia armenia Vladimir Putin Crisi Russia-ucraina
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AUTORI

Eleonora Tafuro Ambrosetti
ISPI Research Fellow

Nella foto: Vladimir Putin e Nikol Pashinyan (Wikimedia commons)

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