Dal 20 al 22 marzo il presidente Barack Obama compirà un’importante visita di Stato tra Israele – la prima nello stato ebraico dall’inizio del suo mandato nel 2009 -, Territori Occupati e Giordania. I temi di maggiore confronto saranno i principali dossier mediorientali: dalla crisi siriana al nucleare iraniano, passando per la transizione egiziana, la lotta al terrorismo internazionale ed, infine, il rilancio della questione israelo-palestinese.
Tuttavia, il presidente ha subito tenuto a precisare che in questo viaggio non presenterà al governo Netanyahu né un piano di pace, né una “tabella di marcia” per il ritiro dei coloni dalla Cisgiordania, come invece era stato riportato da alcuni quotidiani israeliani.
Il primo mandato di Barack Obama, come hanno osservato molti commentatori, non si è distinto per un chiaro impegno in Medio Oriente. Da un lato, l’amministrazione americana negli ultimi anni si è concentrata sul disimpegno. Il ritiro dall’Iraq, già in agenda nel 2008, e dall’Afghanistan, dopo un tentativo di surge simile a quello iracheno, sono stati la manifestazione più evidente di una razionalizzazione delle risorse da investire nella macro-regione del Medio Oriente allargato. Dall’altro lato, l’amministrazione Obama ha mantenuto un profilo marcatamente defilato rispetto ai recenti processi di cambiamento nell’area, dalla cosiddetta Primavera araba all’intervento militare in Libia, dove è stato adottato un approccio inconsueto nelle politiche mediorientali di Washington come quello del “leading from behind“.
Questa cautela non sarà probabilmente abbandonata, ma forse sarà accompagnata da un maggior impegno politico. I problemi sono straordinariamente numerosi. Proprio la questione dei negoziati tra Israele e Anp, rimasta emarginata nell’agenda internazionale dell’Obama I, potrebbe essere una delle scommesse del secondo mandato presidenziale, sulla quale, eventualmente, rilanciare anche l’azione di politica estera nella regione. La capacità degli Stati Uniti di riaffermarsi come potenza regionale dipenderà anche dalla propria capacità di saper gestire l’aggrovigliata matassa di variabili di instabilità del Grande Medio Oriente.