La comunità curda siriana tra guerra civile e dinamiche regionali | ISPI
Skip to main content

Search form

  • INSTITUTE
  • CLERICI PALACE
  • CONTACT US
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • INSTITUTE
  • CLERICI PALACE
  • CONTACT US
  • MEDMED
  • Home
  • RESEARCH
    • CENTRES
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europe and Global Governance
    • Business Scenarios
    • Middle East and North Africa
    • Radicalization and International Terrorism
    • Russia, Caucasus and Central Asia
    • Infrastructure
    • PROGRAMMES
    • Africa
    • Energy Security
    • Global cities
    • Latin America
    • Migration
    • Religions and International Relations
    • Transatlantic Relations
  • ISPI SCHOOL
  • Publications
  • EVENTS
  • CORPORATE PROGRAMME
    • about us
    • Closed-door meetings
    • Scenario Conferences
    • Members
  • EXPERTS

  • Home
  • RESEARCH
    • CENTRES
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europe and Global Governance
    • Business Scenarios
    • Middle East and North Africa
    • Radicalization and International Terrorism
    • Russia, Caucasus and Central Asia
    • Infrastructure
    • PROGRAMMES
    • Africa
    • Energy Security
    • Global cities
    • Latin America
    • Migration
    • Religions and International Relations
    • Transatlantic Relations
  • ISPI SCHOOL
  • Publications
  • EVENTS
  • CORPORATE PROGRAMME
    • about us
    • Closed-door meetings
    • Scenario Conferences
    • Members
  • EXPERTS
Commentary
La comunità curda siriana tra guerra civile e dinamiche regionali
Andrea Plebani
24 August 2013

La crisi siriana ha raggiunto negli ultimi mesi dimensioni raramente ipotizzabili all’inizio delle sollevazioni popolari scoppiate nel 2011. Il conflitto, oltre ad aver mietuto ormai più di centomila vittime come attestato dalle stime fornite dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha spinto un numero crescente di cittadini siriani ad abbandonare le proprie case per trovare rifugio in aree meno colpite dalla violenza o all’estero. Nei giorni scorsi le stime fornite dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati sottolineavano come quasi due milioni di cittadini siriani avessero scelto questa seconda opzione trovando rifugio soprattutto in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto.

Al di là delle mere statistiche e del dramma umano ad esse sotteso, negli ultimi giorni il caso dei profughi curdi in fuga dalla Siria verso le regioni del Kurdistan iracheno (KRG) è salito alla ribalta anche per le implicazioni profonde che l’esodo potrebbe avere non solo in ambito siriano ma sull’intera regione. 

In tale contesto la rilevanza della comunità curda siriana (per anni considerata come marginale rispetto a quelle turche, irachene e iraniane) pare essere cresciuta esponenzialmente con l’aggravarsi della crisi. A partire dalla metà del 2012, infatti, il regime di Damasco, alle prese con una crescente instabilità interna e con un’opposizione armata che controllava aree chiave del paese, aveva preferito allentare la propria presa sulle regioni settentrionali, ritirando buona parte delle forze armate di stanza nell’area assieme ai quadri amministrativi. Il vuoto di potere venutosi a creare venne ben presto riempito da un composito fronte curdo chiamato a garantire la sicurezza delle proprie comunità e a evitare che la decisione presa da Damasco si traducesse in ulteriore instabilità.

La striscia di territori che da Afrin a ovest si estende fino alle propaggini nord orientali del paese finì quindi con l’essere considerata parte di una “regione autonoma curda” che comprendeva gran parte delle aree settentrionali al confine con Turchia e Iraq. A rompere la continuità territoriale di tale regione vi era un fronte centrale compreso tra Tel Abyad e Ras al-Ayn, che nella seconda metà del 2012, dopo una serie di aspri scontri, era caduto tra le mani di ribelli provenienti dalle fila di formazioni islamiste radicali vicine a Jabhat al-Nusra (JaN) e al-Qaida. 

In un contesto così segnato da aspre rivalità interne e complesse relazioni regionali l’amministrazione curda tentò di assicurare l’autonomia della propria regione senza invischiarla direttamente nelle dinamiche conflittuali esistenti tra il regime, l’opposizione e gli interessi dei vari attori regionali, garantendo alle aree sotto il proprio controllo una stabilità e una sicurezza (seppur relativa) sconosciute al resto del paese. Tale posizione divenne però insostenibile col passare dei mesi. In primo luogo, la posizione di confine della regione, unita alle rilevanti riserve di idrocarburi della zona, ne facevano un’area strategica appetita da molteplici attori, siriani e non. All’interno della stessa comunità curda, inoltre, erano presenti interessi confliggenti che tendevano a contrapporre alla posizione dominante ottenuta dal PYD, il principale partito curdo siriano vicino alle posizioni del PKK, gli interessi di un variegato gruppo di attori connessi al KDP, il più importante partito curdo iracheno guidato da Massoud Barzani. Infine, gli equilibrismi politici della dirigenza curda siriana in relazione alla guerra civile favorirono l’emergere di accuse di connivenza con il regime mosse dalle ali più radicali del campo anti-Assad, favorendo l’escalation della crisi. 

Nel giro di pochi mesi le frizioni esistenti tra le ali più estreme dei ribelli dislocate al nord e le formazioni curde esplosero in tutta la loro intensità, alimentate da interessi strategici opposti, ma anche da differenti visioni relative al futuro del paese (con i curdi schierati a difesa della propria autonomia e i gruppi islamisti fortemente ostili a qualsiasi progetto di decentramento amministrativo) e dall’incompatibilità tra lo stile di vita delle comunità curde siriane e le pratiche rigoriste imposte dai salafiti. A partire dalla fine del 2012, il fronte settentrionale venne interessato da un conflitto sempre più esteso tra la galassia islamista radicale facente capo a Jabhat al-Nusra e allo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) e le milizie curde guidate dal PYD e da una serie di altri partiti minori sostenuti dal KDP iracheno. Per il fronte curdo la posta in gioco risiedeva non solo nella difesa della propria autonomia, ma anche nella possibilità di ottenere il controllo delle roccaforti islamiste e di riunire i tronconi nord occidentale e nord orientale dell’amministrazione regionale curda. Nello scorso luglio la pressione esercitata dalle formazioni autonomiste portò alla caduta dei centri strategici di Ras al-Ayn e Tel Abyad. 

La vittoria è però stata ottenuta a caro prezzo: nonostante la sconfitta le milizie jihadiste hanno rapidamente riorganizzato le proprie posizioni avviando una campagna asimmetrica che ha avuto come primo obiettivo la popolazione civile. La crisi umanitaria registrata nel nord del paese nelle scorse settimane è all’origine dell’esodo che ha portato decine di migliaia di profughi a cercare rifugio nel KRG iracheno. Al di là del dramma vissuto dai profughi, gli effetti a livello regionale e intra curdo di tale fenomeno non hanno tardato a palesarsi. Le recenti dichiarazione con le quali il presidente del KRG iracheno Massoud Barzani ha manifestato la disponibilità di Erbil a intervenire nel nord della Siria a protezione dei propri fratelli ha infatti evidenziato ancora una volta la forte solidarietà che unisce il popolo curdo, ma ha anche riproposto le mai sopite rivalità esistenti al suo interno. Al tempo stesso, essa ha sottolineato la complessa serie di relazioni intessute dalle diverse fazioni curde con i maggiori attori regionali, soprattutto alla luce dell’alleanza strategica intessuta da Ankara con il KRG iracheno e dalla sua storica opposizione al PKK turco, alleato del PYD. 

 

Read more:

Respite for Reform: Sultan Haitham Stamps His Mark On Oman
Clemens Chay
Research Fellow, National University of Singapore’s Middle East Institute
,
Abdullah Baabood
Qatar Chair, Islamic Studies at Waseda University in Tokyo
Jordan’s Thorny Spring Spells Trouble for the Middle East
The MENA Region in 2021: The Road Ahead
A Pragmatic Shift: Evolving EU-Turkey Relations
Yemen: The Gpc and Islah After 2011
Eleonora Ardemagni
ISPI
,
Raiman Al-Hamdani
Yemen Policy Center
The EU Offers Turkey a Fragile, Positive Agenda
Galip Dalay
Oxford University, Richard von Weizsäcker Fellow Bosch Academy

Tags

Kurdistan Siria MENA
Versione stampabile

AUTORI

Andrea Plebani
Associate Research Fellow

GET OUR UPDATES

SUBSCRIBE TO NEWSLETTER

About ISPI - Work with us - Experts - Contact - For Media - Privacy

ISPI (Italian Institute for International Political Studies) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milan) - P.IVA IT02141980157