Se negli anni passati la Cina era stata accusata di interpretare il sistema internazionale nel ruolo di “free rider”, nell’ultimo decennio Pechino ha cercato sempre di più di accreditarsi come un contributore positivo ai beni pubblici globali nel campo della sicurezza e dello sviluppo economico dei Paesi più poveri. Questa sua tendenza a proporre vie cinesi per sicurezza e sviluppo si accompagna alla critica del sistema internazionale imperniato sul primato statunitense. Vi è, quindi, un tentativo da parte cinese di presentarsi come parte attiva di un mondo nuovo che veda il riscatto di Paesi ex coloniali o comunque ritenuti ai margini del sistema internazionale. Si tratta di uno sforzo di presentare la propria politica estera su di un piano di cooperazione Sud-Sud, in contrapposizione con quanto viene fatto dagli Stati Uniti e dai Paesi membri dell’Unione Europea.
In principio fu la Belt and Road Initiative
Un tale spirito contraddistingue la Belt and Road Initiative (BRI), la celebre nuova Via della seta: non si tratta soltanto di un piano di sviluppo infrastrutturale, quanto piuttosto della creazione di una piattaforma per le relazioni bilaterali che ruotino attorno al concetto di “mutuo beneficio”, sottintendendo che i piani di investimento portati avanti da altri (sempre i Paesi ricchi) fossero invece intimamente corrotti da un pregiudizio penalizzante per il Paese ricevente, spesso povero e con una storia di colonizzazione alle spalle. Se una tale narrazione era risultata vincente nei primi anni dal lancio dell’iniziativa avvenuto gradualmente e in più fasi a partire dal 2013, nel corso del tempo la spinta propulsiva dell’idea della Cina come nuovo partner di sviluppo globale si è andata via via affievolendo, sostanzialmente per due ragioni.
Da un lato gli Stati Uniti durante la presidenza Trump hanno contrastato duramente i piani di espansione dell’influenza cinese nel mondo tanto da arrivare poi a proporre con Biden un progetto infrastrutturale dichiaratamente in competizione con quello cinese (Build Back Batter for the World – B3W), dall’altro le promesse cinesi di uno sviluppo condiviso dai Paesi che ricevevano gli investimenti di Pechino non sono state mantenute. È questa la ragione delle discussioni sulla questione della trappola del debito – in parte anche esagerata – e della non sostenibilità di alcuni dei progetti in ambito BRI. Non è un caso, allora, che nel 2019, in occasione del secondo (e per ora ultimo) Belt and Road Forum for International Cooperation – ovvero il summit di discussione sulla BRI alla presenza di decine di capi di stato e di governo – Xi Jinping si sia diffusamente speso proprio per garantire la sostenibilità, finanziaria e ambientale della BRI, quasi a rispondere a un montante scetticismo generale. Il peggioramento del clima internazionale e lo scoppio in Cina della pandemia non hanno però contribuito a migliorare l’immagine della Cina come attore responsabile del contesto internazionale, anzi ne risulterebbe addirittura peggiorata.
Sicurezza e sviluppo Sud-Sud
Tuttavia, l’esigenza di Pechino di costruirsi consenso internazionale come protagonista positivo di sviluppo e sicurezza non è venuta meno, perché semplificherebbe le relazioni internazionali cinesi facilitando le interazioni economiche. Per questo motivo, Xi Jinping ha rilanciato con due iniziative gemelle denominate in inglese Global Development Initiative (GDI) and Global Security Initiative (GSI). La prima è stata proposta dal Presidente cinese in occasione della 76ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 22 settembre 2021. Il luogo scelto non è casuale, ma risponde a una precisa volontà di intestarsi un ruolo centrale nel contesto della promozione multilaterale dello sviluppo. In particolare, la Cina vuole associare la sua attività nell’ambito della Global Development Initiative – i cui contorni sono però ancora molto vaghi, come d’altronde era stato per la BRI– alle politiche delle Nazioni Unite per raggiungere entro il 2030 i suoi Sustainable Development Goals, con una attenzione particolare alla riduzione della povertà, alla food security e alla ripresa economica. Allo stato attuale non esistono numeri specifici collegati alla GDI, ma è già stata utilizzata come base per creare un gruppo di consenso all’interno delle Nazioni Unite. Nel gennaio di quest’anno, infatti, è stato costituito il Group of Friends of Global Development Initiative che comprende 100 Paesi e che si è riunito il 9 maggio alla presenza del Segretario Generale Antonio Guterres. In generale, nonostante la sua importanza e l’autorevolezza di chi l’ha proposta nel contesto cinese, la GDI tuttavia ha ricevuto un’attenzione molto scarsa dagli osservatori occidentali, e in alcuni casi risulta pressoché sconosciuta persino a esperti cinesi.
Molta più attenzione, invece, ha ricevuto la Global Security Initiative, proposta in occasione della sessione asiatica del Boao Forum il 21 aprile. Il maggior interesse dipende inevitabilmente dalla circostanza che ci troviamo nel mezzo di una guerra in corso e dal fatto che una iniziativa sulla sicurezza appare molto più concreta di una sullo sviluppo. Tuttavia, anche in questo caso, le effettive implicazioni sono molto vaghe. Il punto di fondo in realtà è un altro. Come nel caso della GDI, la GSI è una costruzione narrativa per attrarre consenso internazionale sull’obiettivo cinese di revisione dell’ordine internazionale esistente. Non a caso, negli articoli di accompagnamento al lancio presenti sulla stampa cinese si lamenta l’insufficienza e la presunta parzialità in favore Occidentale dell’architettura di sicurezza mondiale. Non bisogna pertanto aspettarsi azioni militari collegate alla GSI, quanto piuttosto che tale concetto venga usato come base di discussione bilaterale con Paesi minori che forniranno la propria adesione politica a una visione del mondo cinese per ottenere in cambio accordi di sicurezza o, in altri casi, per lo sviluppo economico. La GSI non è emersa durante il viaggio del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi nelle isole del Pacifico, ma la GDI era il secondo punto del comunicato del Ministero, proprio con un diretto riferimento all'Agenda sostenibile delle Nazioni Unite.
Un nuovo sistema globale
Si conferma, allora, la volontà di Pechino di influenzare a proprio favore la narrazione globale sulla governance economica e di sicurezza. Con la GDI e la GSI non viene meno la BRI, ma si rafforza il suo messaggio di fondo – un sistema internazionale alternativo a quanto proposto dall’Occidente – che verrà probabilmente promosso nei contesti in cui la Cina è presente, quali la Shanghai cooperation organization e il summit dei Paesi BRICS, e alle Nazioni Unite per costruire un gruppo di Paesi che ne condividono almeno i princìpi di fondo. Quanto emerso in occasione dell’incontro del 4 febbraio a Pechino in occasione dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici Invernali, ovvero il desiderio di Russia e Cina di dare vita a un “nuovo ordine mondiale”, non era soltanto una frase di circostanza, ma un intendimento strategico radicato e strutturale della visione del mondo dei decisori cinesi. A questa visione si contrappone lo sforzo americano di contrapporre le democrazie alle autocrazie, identificate in particolare proprio in Russia e Cina. Due interpretazioni delle relazioni internazionali che nel prossimo decennio avranno parecchie occasioni per entrare in rotta di collisione.