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ENERGIA

Strategia della tensione e price cap

Massimo Nicolazzi
24 June 2022

Ma il prezzo del gas sale perché manca il gas o perché annunciamo che il gas mancherà? Detta così può suonare provocazione; però nella realtà le due cose si combinano e il gas via annuncio strappa un premio sul prezzo della scarsità.

È cominciata che era solo scarso. Il 2021 parte sotto i 20 euro/MWh; e il 20 Dicembre supera i 120. Siamo di oltre due mesi in anticipo sull’invasione. Già senza l’aiuto della guerra il mercato segnalava un qualche problema strutturale. La ripresa post-lockdown della domanda era andata più veloce di quella dell’offerta. Avevano contribuito una serie di fattori eccezionali e forse ci aveva messo anche la “manina” Gazprom non mettendo in piattaforma volumi spot (poi dibattito su se fosse perché gli servivano per gli stoccaggi o non invece perché voleva solo spingere in alto il prezzo. Facciamo che siano vere entrambe e andiamo oltre, che Gazprom da solo non sarebbe comunque riuscito a mandarci sopra quota 120).

La spirale si era innestata sull’annuncio che il livello degli stoccaggi europei ci metteva a rischio per l’inverno, e sulla competizione all’ultimo carico che si era perciò scatenata tra compratori europei e compratori asiatici di GNL. L’allarme era reale; ma adesso che è arrivato giugno e l’inverno è passato, ci lascia con la sensazione che il picco di prezzo fosse anche figlio di paura più che di mercato; o meglio che il mercato, come suo mestiere, avesse comunque incorporato nel prezzo il rischio annunciato.

 

Dopo l’invasione, l’impennata dei prezzi

Poi, il 24 febbraio 2022 c’è l’invasione. Il prezzo era tornato sotto gli 80 dollari e il 7 marzo arriva a 206,95. Normale, direte. È chiaro il rischio che tutto salti e ciò che potrebbe sparire non ha prezzo. Sì, però dal 24 febbraio al 7 marzo i flussi di gas in transito attraverso l’Ucraina si erano mantenuti assolutamente regolari; e nel conflitto del 2014 nel mondo di sopra succedeva ogni orrore, ma nel mondo di sotto il fiume blu del gas scorreva placido e, oltre ai flussi, si mantenevano “regolari” anche i prezzi. Al mercato il conflitto del 2014 fu di fatto indifferente; e quello del 2022 ha prodotto panico. Il russo spergiura che le forniture all’Europa non saranno sospese; ma il mercato anticipa comunque un’alternativa secca tra guerra e sanzione.

Poi il prezzo comincia a girare seppur volatile intorno a 105. Il sospetto, con Bruxelles che brandisce la spada della sanzione, è che comunque incorpori un po’ di effetto annuncio. La Russia chiede pagamenti in rubli e Bruxelles risponde giammai, pur sapendo che questo può implicare un embargo totale e l’interruzione delle forniture. REPowerEU è imminente, e certo si pensa formalizzerà la sanzione. Il prezzo a 105 incorpora un pezzo della sanzione che (ancora) non c’è.

Poi il tema del pagamento in rubli viene aggirato, e REPowerEU riafferma la necessità di liberarsi del fossile russo, epperò indica come via maestra non la sanzione sul gas ma il fotovoltaico sul tetto. Da 105 il prezzo ricade a 80.

 

Se Mosca chiude i rubinetti…

Ultimo atto (per ora). Le forniture non sono più regolari, e anzi crollano. Prima la chiusura di una centrale in Ucraina, dovuta all’impossibilità (per gli ucraini) di gestirla in sicurezza nel mezzo di una zona bellica. Poi, soprattutto, il crollo di 2/3 dei flussi del Nord Stream, e la prospettiva di una Germania senza gas. Da 83euro MWh si torna a 125. Con usuale rimbalzo di annunci e tensioni. Noi che titoliamo che ci stanno chiudendo i rubinetti (insomma che ci sanzionano loro); e loro a dirci che è solo un problema tecnico, insomma forza maggiore. Sul che peraltro una qualche ragione gliela si deve riconoscere. I flussi del North Stream transitano dalla centrale di compressione di Portovaya. Le turbine gliele ha fornite l’allora amico tedesco Siemens; e revisione e manutenzione le sa fare solo Siemens. Dice il russo che due turbine sono ferme per scadenza del termine per la revisione; e una terza, che Siemens ha mandato in Canada a revisionare, è lì bloccata causa sanzioni. Magari sulle turbine ferme un poco ci marciano (anche se non si capisce quanto gli convenga); ma almeno che una turbina sia bloccata in Canada è un dato certo.

Un pezzo di verità qui è che la Russia non è in grado senza aiuto straniero di fare manutenzione di impianti essenziali per alcuni suoi flussi produttivi. Noi per conto nostro vogliamo con le sanzioni sanzioni colpire (anche) le sue lacune tecnologiche; ma per come le abbiamo disegnate e applicate finiamo per colpire tecnologie la cui disponibilità da parte del russo sembrerebbe ancora essenziale per noi. La sanzione così ci ricade in parte addosso, quasi in forma di auto-sanzione.

Se rimangono “Siemensdipendenti” per Portovaya i flussi di Nord Stream 1 alla Germania potrebbero azzerarsi per cause naturali (e non potrebbero compensare alimentando il gasdotto da Yamal, posto che la Polonia ha unilateralmente revocato il diritto di transito al gas russo). Se così stanno le cose, l’alternativa non potrebbe che essere tra esentare le turbine dalla sanzione o adattarsi alla perdita dei flussi. Temo che la politica non affronterà il tema in questi termini, e che forse non lo affronterà tout court. Potrebbe finire che via turbine sanzioniamo il gas russo, però a nostra insaputa (e naturalmente per colpa loro).

Poi i tempi possono essere lunghi e anche lunghissimi, e i russi potrebbero farla più drammatica di quel che è per avere più spazio per negoziare qualche sanzione in meno. Sono arrivati ad affermare che per sostituire i flussi di Nord Stream 1 basterebbe aprire Nord Stream 2; e che comunque se gli de-sanzioniamo le turbine loro ripartono.

Sul gas hanno capacità di resistenza, e noi un po’ li aiutiamo. Tra tensioni e annunci, e adesso riduzione dei flussi che si scaricano sul mercato, Putin oggi incassa 6 volte per MWh venduto quel che incassava un anno fa. Gli basta insomma fornire 1/6 dei volumi per fare pari con l’incasso, e con i flussi all’Italia è comunque a metà e non a 1/6.

Tutto ciò che manda il prezzo in tensione lo avvantaggia; e la nostra litania di sanzioni solo annunciate e il modo con cui ci siamo giocati il dramma del ricatto russo un pochino (e forse più…) ha contribuito per effetto annuncio a che lui godesse del rialzo.

Direte che però adesso per la prima volta si sono ridotti per davvero i flussi (non importa se per sanzione o autosanzione); e che dunque l’effetto annuncio lascia ormai il posto ai fondamentali di offerta (che diventa scarsa) e di domanda.

Mentre scrivo, però, al prezzo folle fa ancora riscontro in Italia una disponibilità quotidiana totale di gas leggermente superiore ai consumi. Poi sino ad oggi era difficile riempire gli stoccaggi ma non perché il gas manca, ma per quel che costa. Nessun operatore se la sente di mettere in stoccaggio un gas comprato a questo prezzo e correre il rischio che quando a febbraio lo ri-estrae glielo paghino di meno. E difatti infine il Governo ha dovuto “precettare” SNAM per la bisogna.

Anche con un flusso di gas russo più che dimezzato (se poi si azzera del tutto è altra questione e altro scenario) il tema oggi non è la disponibilità di gas ma il suo prezzo. E la politica si interroga perciò sugli strumenti che potrebbero perciò consentirne il contenimento.

 

Price cap: sì, ma come?

Uno dei più gettonati sembrerebbe il c.d. price cap, un “tetto” obbligatorio al prezzo del gas. Che peraltro allo stato è un po’ quella cosa di cui tutti parlano e nessuno sa bene cosa sia. Tra le ipotesi di price cap  che sarebbero in discussione alcune sono etichettate price cap senza esserlo. Sono, per così dire, price cap in senso improprio. Cosi è per l’idea di acquisti congiunti europei (laddove l’idea forse peregrina che se l’Europa compra unita spende meno, con qualche problema di coordinamento del nuovo, comprato tutti assieme appassionatamente, con i contratti già esistenti; ed anche qualche curiosità nel cercare di capire come l’acquisto congiunto riuscirà a coordinarsi con le nomine individuali degli operatori di settore) ; ed anche per l’idea di imporre un dazio sul gas importato, dazio che ricadrebbe sul venditore ed i cui ricavi andrebbero impiegati a sostegno del consumatore finale.

Per un price cap in senso proprio potete pensare ai due estremi a un cap sul prezzo al consumo o a uno sul prezzo all’importazione. Quello al consumo è uno sconto/rimborso sulla bolletta. In definitiva un travaso di risorse dalla fiscalità generale alla bolletta della Signora Gina. Si scrive price cap ma si legge prezzo politico. Chiamatelo, se volete, un sostegno.  Quello poi sull’import, nella sua versione più rozza, è un autosconto. Da domani 50 Euro MWh e chi non ci sta non consegna. Prima obiezione, di solito, è che se tu annunci un price cap al tuo panettiere e lui ha altri clienti più che con il cap resti senza il pane. In realtà qui però ci sono dei panettieri che non hanno clienti alternativi. Sono i fornitori di gas naturale via tubo. Loro possono vendere solo dove li porta il tubo; e dunque l’alternativa per loro è tra accettare il cap o tenersi il gas in giacimento senza far cassa. Magari qui l’autosconto può almeno in parte funzionare. Con però una serie di problemi collaterali, di cui due in particolare. Uno è che il gas via mare (NGL) continuerebbe ad andare dove lo porta il prezzo, e se ci serve per comprarlo ci tocca probabilmente di andare oltre il cap e in prospettiva di creare due mercati paralleli. L’altro ha a che vedere con i contratti di lungo periodo. Se hanno prezzo superiore al price cap c’è il rischio che il venditore faccia causa all’importatore (Gazprom a Eni, per dire) e la vinca pure, lasciando a carico dell’importatore la differenza. Per gli obblighi di pagamento, ci insegnavano in gioventù, la forza maggiore non è invocabile.

Un’ipotesi sul tavolo di lavoro sarebbe oggi quella di un price cap in edizione informatica (che detta così sembra un autosconto con hackeraggio…). Un intervento sui rispettivi software per impedire la registrazione di transazioni per importi superiori al price cap sulle attuali piattaforme di contrattazione (TTF,PSV, …). A prezzo superiore al cap sulle piattaforme di acquisto non si possono fare acquisti. Posto poi che la maggior parte dei contratti di lungo periodo è indicizzata alle variazioni del prezzo fissato in piattaforma (principalmente TTF) il cap sulle transazioni spot avrebbe un effetto calmiere anche sulle indicizzazioni di lungo periodo senza alterare o sospendere il rispettivo dettato contrattuale.

La maggior sofisticazione di questo approccio non risolve però tutti i problemi della sua versione più rozza. Non copre ad esempio per i contratti di lungo periodo le indicizzazioni ancora basate in tutto o in parte sui prodotti petroliferi anziché sul gas; e non scongiura il rischio di mercati paralleli per gas naturale e GNL (difficile prevedere se l’eventuale cap elettronico in Europa avrebbe effetti, e quali, sul prezzo del GNL in Asia; e altro ancora).

Poi magari andranno in discussione ulteriori nuove versioni; la cui efficacia si misurerà comunque anche sulla loro capacità di minimizzare il rischio che volumi di GNL per cui abbiamo domanda siano dirottati su altri mercati dove possono incontrare condizioni di prezzo superiori al cap.

In definitiva, se e come un price cap si farà non è ancor scritto. L’idea stessa di un price cap “in senso proprio” a qualche economista ortodosso provoca notoriamente itterizia, e confesso in me almeno una qualche perplessità. Alberto Clò, molto autorevolmente motivando, lo ha definito un intervento a gamba tesa sui mercati. Però conoscere per giudicare, ed aspettiamo, se verrà, lo scritto. 

L’unica certezza oggi è che se sarà non sarà comunque provvedimento nazionale (che sarebbe catastrofe annunciata). O è UE o non si fa. E per ora la UE non è unanime. O meglio, è unanime solo nella decisione che valga la pena di studiarci. A Luglio se ne riparla, e vedremo.  Poi siamo in emergenza, e se mai sul price cap in senso proprio o in qualche senso improprio si manifestasse la prima assoluta di una non condizionale unanimità europea varrebbe anche sol per questo la pena di provarci.

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AUTORI

Massimo Nicolazzi
ISPI e Università di Torino

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