Inizia un nuovo anno segnato dall’incertezza, che ormai domina il nostro tempo.
Il conflitto a distanza tra Stati Uniti e Cina non sembra placarsi e, anzi, è possibile che proprio nel 2019 lo scontro deflagrerà in una vera e propria guerra commerciale.
Come scriviamo qui, il 1° marzo è la data da tenere a mente per capire quale dimensione assumerà la contesa. Si tratta della “hard deadline”, il termine stabilito dagli Usa per giungere al compromesso con la Cina: se non si arriverà a un accordo entro quel giorno, Trump è intenzionato a introdurre nuovi dazi, oltre a quelli già in essere, portando lo scontro a livelli mai raggiunti.
Se per pochi mesi Pechino ha provato ad accontentare Washington con simboliche concessioni (leggasi più acquisto di soia e di combustibili fossili), la determinazione dell’amministrazione Trump, i toni duri usati nelle elezioni di Midterm e l’inusuale silenzio cinese hanno fatto capire che le aperture dovranno essere vere ed economicamente più significative (come un accordo sui servizi finanziari e un maggiore controllo sul “forced technology transfer”). Se, al contrario, Xi Jinping non dovesse cedere, si andrebbe probabilmente allo scontro frontale. I segnali di rallentamento dell’economia cinese e la forte interdipendenza tra i due paesi fanno pensare però che, alla fine, si giungerà a un compromesso.
Parallelamente, vale la pena seguire cosa accadrà quest’anno all’Organizzazione Mondiale del Commercio, da mesi quasi paralizzata: i chirurgici sabotaggi statunitensi stanno annichilendo, neanche troppo lentamente, il potere delle Corti che dovrebbero regolare le dispute commerciali tra i paesi membri. Il veto Usa sta infatti impedendo la nomina di nuovi giudici della Corte d’Appello, riuscendo adaddormentare così l’unico braccio armato dell’Organizzazione. L’attuale sistema è ormai sempre meno apprezzato daun numero sempre crescente di attori: dai paesi in via di sviluppo che soffrono un sistema di regole reputato troppo vincolante, ai nuovi giganti economici che vorrebbero poter contare di più, fino ai padri fondatori (in primis gli Stati Uniti) che lamentano, tra gli altri, la sua incapacità di intervenire contro gli abusi nascosti, l’impunità dell’intervento statale in alcune economie, le inconcludenti indagini sulle violazioni del diritto di proprietà intellettuale.
Certo, il sistema di regole novecentesco fatica a raccogliere le sfide del presente. La sfida è oggi riuscire a sostituire un sistema quanto mai imperfetto che ci ha garantito 70 anni stabilità e crescente liberalizzazione commerciale con un nuovo universo di regole condivise, scritte da tutti, senza però rischiare di mettere a rischio il fragile periodo di pace e benessere economico che stiamo vivendo. Ovviamente la crisi del sistema nasce da lontano, ma oggi alcuni fenomeni ne stanno accelerando la caduta. America First, la crescita delle barriere tariffarie e non, come anche la crescente assertività cinese non fanno altro che mettere pressione su un sistema già in difficoltà.
Accanto a queste tendenze che generano instabilità a livello macro, è comunque importante non dimenticare alcuni segnali positivi che stanno emergendo nel commercio internazionale. In primis, in una stagione in cui il primo comandamento di Washington è la totale sfiducia verso i consessi multilaterali e il ritorno alle relazioni bilaterali (vedasi l’accordo con Corea del Sud, Giappone e i negoziati nuovamente aperti con l’Ue), continua lo sviluppo, lento ma implacabile, degli accordi regionali. Uno sviluppo non soltanto numerico, ma anche di sostanza: i negoziati iniziano a includere nuovi capitoli che coprono nuove questioni difficilmente toccate in precedenza come il trattamento dei dati, le politiche di concorrenza e gli appalti pubblici. Per non parlare della crescente importanza che la sostenibilità ambientale ha assunto come criterio di scelta dei partner commerciali e, infine, dell’impatto dell'innovazione tecnologica sull’abbattimento dei costi di trasporto dei prodotti (fisici e digitali).
Per concludere, il 2019 ha un “outlook negativo” nel quale, però,è importante non sottovalutare anche i timidi segnali positivi che arrivano da un sistema di scambi che cambierà profondamente nel corso del prossimo decennio.