Dall’incontro dei partner della NATO del 4 ottobre sembra essere emerso un assenso generale ad un intervento militare turco contro Damasco senza il coinvolgimento militare del resto dell’alleanza. Lei ritiene plausibile un’azione militare turca senza supporto occidentale? E quali potrebbero essere le reazioni di Iran e Russia?
La situazione tra Turchia e Siria è andata deteriorandosi soprattutto in questi ultimi mesi. In realtà la Turchia fino a un anno e mezzo fa aveva avuto un approccio molto costruttivo con la Siria (e viceversa), nel senso che io stesso, prima di lasciare la Turchia, avevo visitato alcune province di confine e avevo trovato una situazione anche dal punto di vista economico, oltre che politico, molto migliorata. Erano stati aboliti i visti, fiorivano i commerci da una parte e dall’altra, e quindi si poteva affermare che si era avverato quello che era l’obiettivo dichiarato dal ministro degli esteri Davotoglu, ovvero quello di non avere problemi coi vicini. Poi come tutti sappiamo la situazione si è deteriorata in questi ultimi tempi, e diciamo che la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’episodio di mercoledì, quando un colpo di mortaio sparato da territorio siriano ha ucciso alcune persone all’interno di un villaggio di confine turco. Da questo è scattata la rappresaglia da parte turca, una rappresaglia che è stata peraltro avvallata dal voto parlamentare che ha dato mano libera al governo. Naturalmente la Turchia, essendo un paese della NATO è in contatto molto stretto con l’alleanza, e per questo sono convinto che qualunque azione che la Turchia voglia intraprendere sarà prima vagliata e concordata con la NATO. Ovviamente in tutti questi casi esiste sempre un problema di “proporzionalità”; è chiaro che non si può andare oltre un certo limite in quanto la reazione deve essere sempre proporzionata a quanto è avvenuto.
Può darsi che ci siano delle spinte anche nel senso di approfittare della situazione per mettere in piedi quella buffer zone oltre il confine siriano che è stata proposta in diverse occasioni dal governo turco. Ma sono convinto che se ci sarà un inasprimento del conflitto con la Siria in questo senso, questo non possa avvenire al di fuori di una intesa con la NATO. Non penso infatti che il governo turco possa da solo stabilire di creare una buffer zone in una zona di territorio siriano di propria iniziativa. Valutazioni di questo genere non possono soprattutto non tenere conto dell’atteggiamento della Russia, che finora non ha accettato il principio di intervento in qualunque senso nella questione siriana, affermando che essa debba rimanere una questione da risolvere internamente dalle forze ribelli e dal governo siriano.
Gli eventi degli ultimi due anni, come i problemi con Israele, l’Armenia, Cipro e l’UE, hanno messo in luce le contraddizioni dell’agenda internazionale di Erdogan. In che modo l’atteggiamento con la Siria potrebbe influenzare la politica estera di Ankara?
Come dicevo, l’idea di Davotoglu era quella di azzerare i problemi con i vicini. Però questa politica, che effettivamente è stata una politica di un certo successo fino a poco più di un anno e mezzo fa, nel senso che effettivamente i problemi con la Siria, con l’Iraq e anche in qualche modo con l’Iran, si erano fortemente attenuati. In questi ultimi tempi però – un po’ sotto la spinta della cosiddetta “Primavera araba”, un po’ per ragioni contingenti diverse – è successo che questa politica è entrata in crisi. La Turchia continua comunque ad avere dei buoni rapporti con la Regione autonoma del Kurdistan iracheno, dove oltretutto detiene molti interessi economici, ma non ha più buoni rapporti con il governo centrale iracheno. Per quanto riguarda l’Iran, i rapporti sono tesi, soprattutto in conseguenza dell’atteggiamento del governo turco nei confronti di Assad. Teheran protegge Assad, e quindi la posizione conflittuale della Turchia verso il regime siriano fa in modo che l’atteggiamento dell’Iran sia un atteggiamento non più amichevole come era prima.
Per quanto riguarda Israele, sappiamo cosa era accaduto, ma io credo che le relazioni con Israele sotto sotto si vadano ricucendo e che in qualche modo si troverà alla fine una soluzione positiva.
Il problema di Cipro, invece, è un problema complesso, un problema in cui tra l’altro certamente tutti i torti non sono dalla parte turco-cipriota, tutt’altro. Noi in genere come europei tendiamo ad appoggiare le tesi greco – cipriote per ragioni di cosiddetta solidarietà comunitaria. Però la storia dell’isola ci insegna diversamente, quindi sulla questione cipriota io mi auguro che le trattative vadano avanti e arrivino a buon fine. Ma va ammesso che in questo scenario i torti non sono certamente tutti da una parte, e quindi la Turchia deve difendere anche una comunità turco – cipriota che sembra essere stata dimenticata dall’Europa.
Indubbiamente i fronti in cui la Turchia si è impegnata cominciano a essere parecchi. Finchè quelle aperture erano dettate dal desiderio di migliorare i rapporti con i paesi che ho citato prima – oltre che con la Grecia o con l’Armenia – certamente la politica del governo Erdogan ha avuto dei successi. In questo momento noi vediamo però anche i suoi punti deboli. Alcuni nodi sono venuti al pettine, ma sono nodi che nascono perlopiù da una situazione in Medio Oriente che è radicalmente mutata rispetto a qualche anno fa.
E’ ormai noto l’appoggio di Damasco ai ribelli curdi del PKK e gli stretti legami tra milizie curde siriane e turche con il governo autonomo del Kurdistan iracheno. Quale rapporto potrebbe giocare il Kurdistan iracheno nella crisi turco-siriana?
Questo è uno sviluppo che indubbiamente la Turchia dovrà seguire con molta attenzione con l’Iraq, e in particolare col Kurdistan iracheno. Nonostante nel Kurdistan iracheno trovino rifugio elementi del Pkk, si può affermare che il fiorire dei rapporti economici per entrambe le parti in qualche modo ha avuto il sopravvento sui problemi relativi alla presenza di questi gruppi che tentano di fare una guerriglia all’interno del territorio turco.
Per quanto riguarda la Siria si apre un fronte assai pericoloso. È infatti chiaro che Assad negli anni scorsi aveva fatto in modo di contenere i curdi, perchè dopo essere giunto all’intesa con la Turchia doveva fare in modo che tale intesa venisse rispettata. A questo punto però, data soprattutto la presa di posizione del governo di Erdogan, evidentemente Assad gioca la carta curda in senso anti-turco. Se questo poi significherà un cambiamento anche nell’atteggiamento del Kurdistan iracheno in futuro – cioè se si svilupperà una tendenza curda a raggruppare i curdi del nord dell’Iraq, quelli siriani, e persino quelli iraniani – questo per la Turchia sarebbe molto negativo in quanto fungerebbe da richiamo per quella frazione curda in Turchia che non ha voluto assolutamente integrarsi col resto del paese, ma guarda invece ad aspirazioni di carattere autonomista.
* Carlo Marsili è stato ambasciatore italiano ad Ankara ed è ISPI Senior Advisor per la Turchia