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ENERGIA UE

Verso un "Rinascimento" del nucleare?

Massimo Lombardini
20 May 2022

L’impennata dei prezzi dell’energia e il conflitto in Ucraina, con le conseguenti preoccupazioni per i costi e la sicurezza degli approvvigionamenti energetici dell’Unione Europea hanno riportato in primo piano il possibile contributo del nucleare al nostro mix energetico.

Il nucleare è argomento molto divisivo nella UE: 13 Paesi operano reattori nucleari mentre i rimanenti hanno deciso di non ospitare centrali nel proprio territorio. Ciò in quanto l’articolo 194 del trattato per il funzionamento dell’UE indica che ogni membro può decidere il proprio mix energetico facendo ricorso alle tecnologie e fonti energetiche per lui più opportune. 

Le centrali nucleari europee, però, per operare debbono soddisfare una serie di standard di sicurezza. Ad esempio la non conformità con la legislazione europea del reattore nucleare di Ignalina in Lituania ha costretto il Paese a smantellare la centrale come prerequisito all’adesione all’UE nel 2004. Più recentemente nel 2011, dopo l’incidente di Fukushima, la legislazione è stata modificata introducendo criteri ancora più stringenti per la sicurezza delle centrali stesse.

Infine si può ricordare che l'Atto Delegato sulla Tassonomia adottata dalla Commissione europea il 2 febbraio 2022 ha incluso il nucleare fra le tecnologie considerate accettabili da un punto di vista ambientale. Il nucleare ha quindi ottenuto il “diritto di cittadinanza” fra le tecnologie sostenibili che possono contribuire alla transizione energetica e alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

 

Miti sul nucleare da sfatare

Nell’UE il Paese che ha fatto ricorso in maniera più massiccia all’energia nucleare è la Francia, la cui storia si intreccia da sempre con questa disciplina. La radioattività fu scoperta da Henri Becquerel con i coniugi Curie, l’energia nucleare da Frédéric Joliot e dalla moglie Irène, figlia della coppia Curie. Questi scienziati “collezionarono” sei premi Nobel come riconoscimento delle loro scoperte.

Dopo la Seconda guerra mondiale la Francia avviò un programma nucleare che ha portato allo sviluppo di armi atomiche e negli anni '70, dopo gli shock petroliferi, decise di fare ricorso in maniera massiccia al nucleare per uso civile che produce attualmente i tre quarti dell’elettricità francese. Tuttavia, a volte nei media si parla di tre quarti dell’energia proveniente dal nucleare tralasciando di precisare che si tratta di tre quarti dell’energia elettrica. Considerando che l’elettricità copre circa il 25-30% dei consumi energetici è chiaro che la Francia dovrà fare ricorso ad altre fonti di energia per coprire i tre quarti del suo mix energetico non alimentati ad elettricità.

Un altro “mito” da sfatare è che l’elettricità prodotta dai reattori nucleari sia a buon mercato. I costi di produzione di elettricità da centrali nucleari francesi, in funzione da molti decenni, sono bassi in quanto gli elevati investimenti iniziali sono stati completamente ammortizzati e i costi di esercizio relativamente bassi.

L’economicità delle nuove centrali è meno evidente. Flamanville 3 in Francia avrebbe dovuto avere un costo di 3 miliardi di euro lievitati a 12 secondo Electricité de France e a 19 per la Corte dei Conti francese; la costruzione iniziata nel 2007 dovrebbe concludersi dopo molti ritardi nel 2022. La Finlandia ha invece terminato la costruzione di Olkiluoto con un ritardo di 12 anni rispetto ai tempi pianificati e con costi triplicati.

Infine, è da ricordare che alla fine del ciclo di vita la centrale deve essere smantellata e le scorie radioattive stoccate in appositi depositi che ne garantiscono un contenimento sicuro e a lungo termine. A tutt’oggi l’unico Stato dell’UE con un deposito con i requisiti sopraindicati è la Finlandia.

I problemi sopra elencati non devono tuttavia condurre a un’opposizione ideologica contro il nucleare, soprattutto in considerazione delle bassissime emissioni di gas a effetto serra conseguenti alla produzione di elettricità con questa tecnologia. A questo proposito la decisione della Germania di uscire definitivamente dal nucleare “spegnendo” le ultime tre centrali in attività è sorprendente, soprattutto considerando che tale decisione si accompagna a un piano di rilancio per l’utilizzo di lignite, il combustibile fossile più inquinante. Si tratta di una decisione discutibile che farà aumentare le emissioni di gas a effetto serra del Paese. Una strategia più in linea con i nostri obiettivi di decarbonizzazione è stata seguita dal Belgio che ha deciso di prolungare l’esercizio di due centrali nucleari il cui arresto era previsto per il 2025.

 

Futuro del nucleare e opportunità per l’Italia

Come indicato da Rystad Energy, fra il 2022 e il 2023 più di 90 miliardi di dollari verranno investiti nel nucleare con 52 nuovi reattori in costruzione su scala globale. Per quanto riguarda l’Europa, Macron ha promesso una “rinascita” del nucleare francese con la costruzione di 6 nuovi reattori entro il 2037 più altri 8 reattori negli anni seguenti.

In Italia, durante gli ultimi mesi da più parti è stata evocata la possibilità di un ritorno al nucleare. In un approccio “technology neutral” l’opzione nucleare non è da escludere a priori; rimane però da chiedersi se tale opzione sia la migliore per il nostro Paese.

In un intervento riportato dal Corriere della Sera del 15 maggio Francesco Starace, amministratore delegato di ENEL, ha definito “apprendisti stregoni“ coloro che parlano di nucleare senza consapevolezza ricordando inoltre che “tutte le centrali nucleari in costruzione hanno costi e tempi doppi rispetto al previsto”.

Si deve aggiungere che l’Italia non ha ancora identificato un sito per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Inoltre la società SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari) creata nel 1999 e incaricata dello smantellamento delle vecchie centrali di Caorso, Trino Vercellese, Garignano e Latina, è stata recentemente commissariata. Ci si può infine interrogare sull’opportunità di costruire centrali nucleari in un territorio ad alto rischio sismico come la nostra penisola.

Tutte queste considerazioni non devono però spingere nè l’Italia nè l’Europa ad abbandonare il nucleare e in particolare la ricerca e lo sviluppo per i reattori di quarta generazione, la fusione e in particolare i cosiddetti Small Modular Reactors. Questi ultimi sono reattori di potenza minore (200-400 MW) rispetto ai reattori convenzionali (1-2 GW), possono essere costruiti in fabbrica e quindi assemblati nel sito scelto per la centrale con tempi e investimenti notevolmente ridotti rispetto ai reattori di grande taglia.

 

Il nucleare fa al caso nostro?

Per concludere, le preoccupazioni sulla sicurezza energetica dell’UE legate al conflitto in Ucraina hanno riaperto il dibattito sul contributo del nucleare al nostro mix energetico.

Gli Stati dell’UE hanno approcci diversi rispetto al nucleare, la Francia ha annunciato la costruzione di 14 nuove centrali mentre la Germania pur di abbandonarlo è disposta ad aumentare il consumo di lignite, il combustibile fossile più inquinante.

In Italia tuttavia un ritorno al nucleare si scontrerebbe con un sentimento diffuso nell’opinione pubblica di contrarietà alla costruzione di grandi infrastrutture energetiche, basti pensare all’arduo percorso per il completamento dal gasdotto TAP. Inoltre, i lunghi tempi del nucleare non ne fanno l’opzione ideale per ridurre in tempi brevi la nostra dipendenza energetica dalla Russia e accelerare la transizione ecologica.

L’Italia, come previsto nel suo Piano Energetico e Climatico dovrebbe piuttosto continuare i suoi sforzi in efficienza energetica e fonti rinnovabili che darebbero risultati nel breve periodo. Secondo quanto dichiarato sempre dal CEO di ENEL Starace, in Italia si potrebbero realizzare in tre anni 60 GW di rinnovabili, riducendo la domanda di gas di 18 miliardi di metri cubi all’anno, due terzi dell’import di gas russo, generando un ciclo di investimenti di 80 miliardi di euro.

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