Il 27 febbraio la Russia ha imposto una ‘pausa umanitaria’ di cinque ore a Ghouta Est. La risoluzione approvata lo scorso 24 febbraio dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che richiedeva una tregua di trenta giorni per consentire l’evacuazione dei civili e il trasporto di aiuti umanitari, non ha interrotto i combattimenti. Cresce la tensione in un paese martoriato da una guerra che si protrae da ben sette anni e di cui a oggi non si intravede una soluzione, resa ancora più difficoltosa dal groviglio di interessi dei diversi attori esterni coinvolti.
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Il Mediterraneo allargato continua a essere attraversato da importanti sviluppi che ne rendono difficile la stabilizzazione. Nella regione del Golfo, non si esaurisce la “guerra fredda” tra Arabia Saudita e Iran, che si riflette nel contesto regionale più ampio. Lo scorso novembre si è aperto infatti con una nuova crisi che ha coinvolto Arabia Saudita, Iran e Libano, da considerarsi come l’ennesimo tassello del braccio di ferro tra Riyadh e Teheran.
Negli ultimi anni l’opinione pubblica mondiale è stata ripetutamente scossa dalla violenza e dalle immagini che hanno accompagnato mediaticamente la rapidissima ascesa ed espansione dell’autoproclamato Stato Islamico[1]. L’attenzione dell’intelligence e del mondo accademico è stata attirata soprattutto dal fenomeno dei foreign terrorist fighters (Ftf) coinvolti nel conflitto siro-iracheno, per le modalità di attivazione e sviluppo, nonché per la mobilitazione raggiunta in brevissimo tempo[2].
Il prossimo 4 maggio i cittadini algerini sono chiamati alle urne per eleggere il parlamento del paese, l’Assemblea Nazionale Popolare.
Come ogni anno, ISPI ha realizzato un Dossier speciale sui possibili scenari e orientamenti di politica internazionale dell’ "anno che verrà", cercando di coglierne i principali elementi (Issues, Crises, People, Countries to Watch) e chiedendo a qualificati esperti di analizzarli in prospettiva.
Dopo il recente 25esimo anniversario della dichiarazione d’indipendenza dall’Unione Sovietica, un’altra importante ricorrenza si avvicina per il Turkmenistan. Il 21 dicembre 2006, infatti, scompariva Saparmyrat Nyazov, padre padrone della Repubblica centro asiatica, la cui uscita di scena spianò la strada alla salita al potere dell’attuale presidente, Gurbanguly Berdymukhammedov.
“Fighting al-Qaida before the Huthis”: the United Arab Emirates (Uae) have recently rebalanced their military commitment in Yemen, prioritizing counterterrorism operations against jihadi groups, in particular with regard to al-Qaida in the Arabian Peninsula (Aqap). Since March 2015, the Saudi-led military intervention in Yemen against Zaydi Shia militias (the Huthis of Ansarullah, plus former president Ali Abdullah Saleh’s loyalists) has been marking a watershed for Gulf monarchies’ military projection outside their boundaries.
Lo scorso febbraio il ministro iraniano del petrolio Bijan Zanganeh aveva bollato come “ridicola” l’ipotesi che l’Iran accettasse di mettere un tetto alla produzione di petrolio, provvedimento identificato dai paesi produttori come la soluzione alla caduta vertiginosa dei prezzi[1].