Questa quinta uscita de “Le parole dell’Europa”, serie che ISPI ha lanciato in vista delle elezioni europee, è dedicata al tema delle migrazioni. Negli ultimi anni si è assistito prima a un forte aumento e poi a una netta contrazione degli sbarchi sulle coste di diversi Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo. Di fronte all’emergenza, Istituzioni europee e Stati membri non sono riusciti a dare risposte condivise. Oggi, alla mancata solidarietà interna fa da contraltare il tentativo di “esternalizzare” la gestione del fenomeno ai Paesi terzi.
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Da sempre l’Italia paga cara la convinzione altrui di essere un paese ambiguo e inaffidabile. Storicamente, continui cambi di fronte e giri di valzer hanno alimentato questa convinzione, che si è rilevata un forte limite alla credibilità italiana in politica estera. Un pregiudizio, questo, che l’Italia ha fatto poco per contrastare, anche nell’ultimo decennio. Il caso libico ne è un chiaro esempio.
L’imperatore Akihito salì al trono del Giappone nel gennaio 1989 in una congiuntura storica che rappresentò l’avvio di una nuova modernità globale: dalla caduta del muro di Berlino in Europa alle proteste di piazza Tiananmen in Asia, il cui trentesimo anniversario cade proprio in queste settimane.
Il problema del rientro dei foreign fighters jihadisti dalle aree di conflitto appare di particolare rilevanza, specialmente dopo il crollo dell’auto-proclamato “Califfato” dello Stato Islamico in Siria e Iraq.
Annunciata ufficialmente dai media cinesi lunedì 18 marzo, la visita del Presidente cinese Xi Jinping in Europa si svolge dal 21 al 26 marzo: è cominciata in Italia, farà tappa nel Principato di Monaco e terminerà in Francia. Sei giorni che si prospettano densi di opportunità per l’evoluzione della Belt and Road Initiative (BRI) cinese in Europa.
Nel giorno in cui ha preso avvio un altro Consiglio europeo in cui è stata Brexit a tenere banco, ISPI ha lanciato la newsletter "Le parole dell’Europa”, che accompagnerà i propri lettori fino alle elezioni europee del 26 maggio.
È stato un weekend di alta tensione nella capitale serba.
Il Sultanato dell’Oman è il perno del ritorno della Gran Bretagna lungo la sponda arabica del Golfo. A quasi cinquant’anni dalla fine della Pax britannica[1] sulle coste degli allora sceiccati (1971), che avviò la fondazione statuale delle monarchie odierne, Londra sta infatti per aprire una base militare in Oman, dopo l’inaugurazione di quella in Bahrein (2018) e le trattative, in parte smentite dai britannici, con il Kuwait.
Negli ultimi mesi sono stati compiuti alcuni importanti passi nel tentativo di dipanare la matassa della crisi libica. Nello sforzo di accompagnare il paese verso le elezioni, inizialmente previste per il 10 dicembre 2018, il governo italiano ha organizzato una nuova conferenza internazionale che si è tenuta a Palermo il 12 e 13 novembre.