Lo scorso febbraio il ministro iraniano del petrolio Bijan Zanganeh aveva bollato come “ridicola” l’ipotesi che l’Iran accettasse di mettere un tetto alla produzione di petrolio, provvedimento identificato dai paesi produttori come la soluzione alla caduta vertiginosa dei prezzi[1].
Search results:
Se alcuni nella storia hanno sostenuto che “la politica non è altro che la continuazione della guerra con altri mezzi”, in Medio Oriente, e soprattutto nel Golfo, si può tranquillamente girare questa affermazione dicendo che “gli investimenti esteri sono la continuazione della politica – e della guerra – con altri mezzi”.
La crisi scoppiata tra Israele e Hamas in seguito al ritrovamento dei corpi di tre giovani coloni e all’uccisione di un giovane palestinese non accenna a placarsi. La spirale di violenze si è rapidamente estesa dalla Cisgiordania a Gaza, dove le forze di sicurezza israeliane hanno risposto duramente al lancio di oltre 200 razzi delle fazioni palestinesi più estremiste con l’operazione Protective Edge, che da lunedì a oggi ha causato 53 vittime e circa 500 feriti tra gli abitanti della Striscia. In questo contesto di violenza crescente, l’eterogeneo esecutivo di Netanyahu, alla ricerca di...
Lo scorso 27 gennaio è stato diffuso il Rapporto 2013 del segretario generale della NATO, Rasmussen(1). Come già negli anni scorsi, il Rapporto ambisce a porsi come momento di sintesi del percorso compiuto dall’Alleanza Atlantica nei dodici mesi precedenti e, allo stesso tempo, come momento di riflessione intorno alle sfide che essa sarà chiamata ad affrontare in quelli a venire.
Quando Ayman al Zawahiri, il successore di Bin Laden alla guida di al Qaeda, ha minacciato gli Stati Uniti di nuovi attacchi terroristici venerdì scorso, sono riemersi gli echi di un classico delle relazioni internazionali: “Guerra e mutamento nelle politica internazionale” di Robert Gilpin. Nel messaggio diffuso dal leader qaedista l’economia americana viene indicata come il principale obiettivo per gli islamisti.
E Obama attaccherà Assad. Forse. I colpi di scena degli ultimi giorni hanno reso questa certezza meno “certa”, costringendoci a tenere il fiato sospeso ancora un po’ di tempo. E al giorno d’oggi di tempo ne basta davvero poco per animare giganteschi dibattiti su internet e sulle televisioni tra interventisti e non interventisti, pacifisti, attivisti, ricercatori, in un ventaglio di opinioni che ci fa rimpiangere i tempi dell’attacco all’Iraq del 2003, quando le posizioni erano nette. Pro o contro.
Ancora una volta i grandi movimenti tettonici che stanno sconvolgendo il mondo arabo da più di due anni hanno avuto la capacità di rimescolare profondamente le carte in tavola e il quadro che molti, dentro e fuori questo mondo, si erano creati.
Il fenomeno della violenza sulle donne non è nuovo nelle strade egiziane, soprattutto dopo la rivoluzione del 25 febbraio 2011. Da allora i disordini politici e la confusione all’interno degli organi di sicurezza hanno portato alla proliferazione dei crimini, compresi quelli di natura sessuale. Quello a cui si assiste ora in piazza Tahrir e negli altri luoghi di protesta sembra però andare oltre a un semplice problema di sicurezza pubblica.
Da Ankara, Silvia Pagliacci
Da Istanbul, Isadora Bilancino, giornalista freelance
Tutto ha avuto inizio il 17 Giugno, quando Erdem Gündüz, ballerino e coreografo turco, ha inaugurato una nuova forma di protesta. Si é fermato in Piazza Taksim rivolto verso il Centro Culturale Ataturk (AKM) ed è rimasto immobile per ore, fino a tarda notte.