La formazione di un governo e l’approvazione di un bilancio dopo un lungo periodo di instabilità politica, così come la convergenza di dinamiche regionali e internazionali favorevoli, offrono a Israele l’opportunità di affrontare le sfide interne e di politica estera che lo attendono. Rimangono però notevoli elementi di possibile destabilizzazione, come per esempio la complessità e la fragilità dell’attuale governo e la necessità di rafforzare le carenti strategie perseguite verso le tre principali sfide: l’arena domestica, la questione palestinese e lo scenario iraniano.
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Esattamente un anno dopo che il Libyan Political Dialogue Forum (Lpdf) aveva eletto Abdul Hamid Dbeibah[1] come primo ministro del Governo di Unità Nazionale (Gnu), lo scorso 1° febbraio la Camera dei Rappresentanti libica, con sede a Tobruk, ha votato per un nuovo primo ministro[2] in sostituzione di Dbeibah, il cui mandato è stato ritenuto scaduto, almeno dal parlamento cirenaico, il 24 dicembre scorso.
Negli ultimi tre mesi la Turchia è stata sotto i riflettori internazionali per la mediazione che sta cercando di portare avanti, con non poche difficoltà, nella guerra tra Russia e Ucraina. Il conflitto ha importanti implicazioni per il paese tanto sul piano interno quanto a livello regionale e nei rapporti di Ankara sia con le parti in conflitto sia con gli alleati della Nato.
Le recenti iniziative del presidente Kaïs Saïed volte alla costruzione di un nuovo sistema istituzionale e a un ulteriore accentramento del suo potere decisionale hanno acuito la crisi politica interna in Tunisia. Il capo di stato continua a godere del consenso popolare (benché in declino) soprattutto tra i segmenti della società tunisina in cerca di stabilità economica e prospettive sociali dignitose.
Mentre il negoziato sul nucleare iraniano sta affrontando una nuova fase di stallo, nonostante i progressi fatti nella definizione e risoluzione di alcuni aspetti tecnici, il governo del presidente Ebrahim Raisi deve fare i conti con il malcontento proveniente da diversi gruppi sociali e politici, i quali lo accusano di inefficienza e di non aver portato a compimento le promesse elettorali. In primo piano, c’è anche il conflitto in Ucraina.
Come per molti altri paesi della regione, la guerra in Ucraina e le sue numerose implicazioni hanno condizionato fortemente l’Algeria in questi primi mesi del 2022. Innanzitutto, l’invasione russa dell’Ucraina e la forte reazione dell’Occidente hanno causato un certo disagio ad Algeri, sebbene la partnership di lunga data con Mosca non sia in discussione.
Una tregua e una nuova leadership: dopo sette anni di guerra[1], lo Yemen attraversa una fase di opportunità politiche. La tregua nazionale, mediata dalle Nazioni Unite fra tutte le parti in conflitto, è in vigore, per due mesi, dal 2 aprile: nonostante alcune violazioni, la buona notizia è che la tregua sta reggendo e il numero di vittime e feriti civili si è dimezzato dal suo inizio[2].
Sarà l'Ucraina aggredita a stabilire quale pace ci sarà, affermano senza esitazione tutti i leader occidentali: lo ha detto anche Mario Draghi a Washington. Ma per fermare la guerra bisognerà lasciar vincere “qualcosa” anche a Vladimir Putin, suggeriscono con toni più bassi quasi tutti gli stessi leader occidentali.
Over the past few years, the faces of Gulf power have significantly rejuvenated, while political and diplomatic power remain highly personalized. First, in some Gulf Arab States, leaders are much younger than in the past: Qatar’s Emir Tamim bin Hamad al-Thani succeeded his father, Hamad bin Khalifa, at age 33 in 2013, and Saudi Arabia’s Crown Prince Mohammed bin Salman al-Saud started his meteoric rise to power at age 29 in 2015.