È un fatto che gli ultimi due momenti salienti nella vita politica cinese siano stati entrambi accompagnati da atti di terrorismo: la macchina esplosa in piazza Tiananmen (28 ottobre 2013) pochi giorni prima il terzo plenum; e la strage della stazione ferroviaria a Kunming (1 marzo 2014) mentre si chiudeva la sessione dello standing committee dell’Assemblea Nazionale del Popolo, che preludeva all’annuale riunione dell’assemblea stessa.
Search results:
A tre anni dall'inizio delle rivolte che hanno progressivamente portato la Siria all'attuale conflitto interno, la situazione rimane quanto mai incerta. Mentre sul campo si susseguono le perdite e le riconquiste territoriali da parte del regime e delle forze di opposizione armate, gli attori esterni continuano ad appoggiare l'una e l'altra parte, alimentando l'instabilità e contribuendo alla condizione di stallo.
Dai tempi della guerra in Afghanistan contro l’Unione Sovietica la dottrina del volontarismo jihadista, elaborata da strateghi quali Abdullah Azzam nei primi anni ‘80, ha portato decine di migliaia di musulmani da tutto il mondo a combattere in conflitti dove il movimento jihadista ritiene i musulmani siano oppressi e sia perciò obbligatorio intervenire in loro soccorso.
«Quando milioni di persone sono in movimento, accogliere 200-300 persone non risolve il problema». Le parole pronunciate il 5 febbraio scorso dall’allora ministro degli Esteri Emma Bonino riguardo alla possibilità che l'Italia accolga un certo numero di profughi siriani, in occasione del suo incontro a Beirut con l'omologo Adnan Mansour, chiariscono l’entità del ruolo di Italia e, più in generale, Europa nella gestione della crisi in Siria.
“Recupero delle province ribelli e nuovo vigore internazionale”. Se la politica estera seguisse davvero le regole del Risiko, potremmo dire che la carta nelle mani di Putin preveda proprio questo obiettivo. Dopo la Crimea quindi, quali altre carte pretenderà di giocare Putin nell’ottica di vincere la sua partita a Risiko? Al di là delle possibili manovre in Europa orientale – in Transnistria per esempio – l’obiettivo di Mosca è di tornare a svolgere il ruolo esclusivo di antitesi agli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale.
I media se ne sono quasi dimenticati ma il disarmo degli arsenali chimici siriani sta continuando tra alti e bassi e soprattutto molti ritardi.
L’evoluzione degli eventi in Crimea è oggetto di molteplici analisi geopolitiche, nonché di previsioni sul futuro della regione, contesa tra quelle che sembrano superpotenze riemerse dalla storia dell’Europa dei blocchi, che dal novembre ’89 credevamo di non vedere più.
Il viaggio che Barack Obama compirà questa settimana e che, per varie ragioni, lo porterà a toccare una serie di capitali europee, cade in una fase importante delle relazioni fra il Vecchio Continente e gli Stati Uniti. Se la crisi ucraina ha attribuito agli incontri di questi giorni un’urgenza nuova e in parte inattesa, l’esigenza di fondo di consolidare le basi di un dialogo transatlantico sempre più complicato appare, infatti, una delle priorità della visita presidenziale.
Il 20 marzo, un ordine esecutivo (Executive Order) del presidente Obama ha esteso la lista dei funzionari russi o filo-russi colpiti dalle targeted sanctions statunitensi dopo la proclamazione della secessione della Crimea da Kiev e il suo ‘ricongiungimento’ a Mosca.
La crisi in Ucraina mostra che l'assetto europeo nel post guerra fredda, malgrado gli oltre vent'anni trascorsi dalla caduta del muro di Berlino, non ha ancora trovato un assetto stabile. La storia non è finita.
È quindi ragionevole chiedersi in che misura un'organizzazione quale l'OSCE, erede istituzionale del processo di Helsinki, possa ancora svolgere un ruolo utile in una fase storica in cui la sua attualità è stata frequentemente messa in questione.