Nonostante i tentativi di mediazione da parte dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, l’ex segretario generale Kofi Annan, la situazione in Siria non accenna a migliorare e la crisi interna si acuisce di giorno in giorno. Il piano proposto da Annan, che dovrebbe essere supportato anche da attori esterni come la Cina e la Russia, prevede sei punti negoziali dai quali far partire i colloqui per una soluzione di quella che ormai rischia di essere una vera e propria guerra civile.
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In Siria la normalizzazione è ancora lontana. Se i fattori interni sembrano determinanti, appare indubbio che questo paese sta divenendo viepiù fondamentale per gli assetti geopolitici dell’intera regione. La crisi economica a cui la Siria ha dovuto far fronte (anche a causa della sfavorevole congiuntura internazionale) ha costretto il governo a dover mediare tra i vari centri che si contendevano il potere, portando a una frattura interna tra i notabili sunniti (solitamente favorevoli al governo) e la minoranza sciita alauita che guida il paese.
La piccola repubblica dell’Ossezia del Sud si è trovata recentemente alle prese con una profonda crisi politico-istituzionale, legata ai turbolenti sviluppi delle elezioni presidenziali dello scorso novembre, quando i suoi cittadini sono stati chiamati alle urne per decidere il successore del presidente in carica dal 2001, Eduard Kokojty, per il quale non è previsto a livello costituzionale un terzo mandato.
La visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca s'inserisce nel quadro delle relazioni tra Stati Uniti e Israele a un anno dalle elezioni americane e in una regione attraversata da cambiamenti, minacce e venti di guerra. Obama e Netanyahu sono personalità politiche molto differenti tra loro: i due non si piacciono, non si sono mai amati e mai saranno ottimi amici.
Nonostante la netta vittoria di Putin, non vi è dubbio che si stia chiudendo la lunga fase politica iniziata nel marzo del 2000, quando egli ottenne il suo primo mandato. Una fase che può essere definita di “generale consenso”, determinata soprattutto dal sostanziale miglioramento della situa-zione economica interna (dovuta peraltro essenzialmente all’alto prezzo di petrolio e gas) e dalla diffusa percezione di un rafforzamento della posizione internazionale del paese.
Non è possibile parlare della Russia di Vladimir Putin, paese ricco di contraddizioni, passato in pochi anni dalla pianificazione centralizzata ai meccanismi di mercato e con un’economia in rapida e costante espansione, se non si considera che nel 1991 non solo si è dissolto il Partito comunista sovietico ma è avvenuta la disunione dell’ultimo degli imperi europei, che il Partito aveva ereditato da secoli di storia degli zar.
L’atmosfera alla vigilia delle elezioni presidenziali in Russia è molto effervescente a causa di un’inattesa attivazione della società civile, a partire dall’ufficializzazione dei risultati delle elezioni alla Duma del 4 dicembre 2011. Pochi giorni dopo migliaia di moscoviti sono scesi in strada per dare vita a una imponente e variegata manifestazione, la più grande protesta a Mosca dai tempi della perestroika e della dissoluzione dell’Unione Sovietica.
«Things Fall Apart» scriveva un noto nigeriano, Chinua Achebe. L’impressione è che, di nuovo, in Nigeria crolli tutto di fronte agli ultimi avvenimenti: esplosioni, uccisioni, omicidi, repressioni e vendette. Le cronache raccontano i mali di un disagio, come fossero un sortilegio che regolarmente svela la presenza di fantasmi. È in questo contesto che il presidente ha evocato il ricordo della guerra civile del Biafra.
La dislocazione della sovranità della Somalia in tanti stati o semi-stati può rivelarsi l’ultima occasione per evitare la fine dell’unità somala. Il paradosso è solo apparente.
Un anno dopo la Giornata della Collera del 17 febbraio 2011 il regime di Gheddafi non esiste più, ma la Libia appare ancora lontana da una transizione democratica. Il vuoto di potere creato inevitabilmente dalla caduta del colonnello non è stato colmato completamente dal Consiglio nazionale transitorio, né dal governo provvisorio da questo nominato. Il Cnt anzi soffre in queste ore una fortissima crisi di legittimità. Pochi in Libia vedono di buon occhio il suo leader Jalil.