Il 4 ottobre 1992, la firma dell’Accordo di pace di Roma, tra il governo del Frelimo e la Renamo, che mise fine a 17 anni di guerra civile in Mozambico, segnò il punto più alto della politica africana dell’Italia. Mai come allora (e mai più dopo di allora) l’Italia era un punto di riferimento per i regimi post-coloniali africani.
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Le elezioni parlamentari in Georgia sono state un evento di grande rilievo politico, che va ben al di là delle frontiere della repubblica caucasica. Benché limitata dalla particolare legge elettorale georgiana, la netta sconfitta del partito di governo, il Movimento Nazionale Unito, ha posto fine allo strapotere politico di Saakashvili, iniziato nel 2003 con la cosiddetta “rivoluzione delle rose”.
I disordini scoppiati per la pubblicazione su YouTube di un video blasfemo sul Profeta Maometto hanno riportato a galla con forza gli ostacoli rappresentati dalla deriva fondamentalista islamica, se sottovalutata, per lo sviluppo democratico e la modernizzazione del Nord Africa. Ma ci hanno anche mostrato come i movimenti islamici in questa regione siano divisi, e persino in lotta tra di loro.
Le narrative che descrivono la realtà usando dualismi composti da due grandi ideologie o potenze che si contrappongono fra loro sono spesso un’eccessiva semplificazione, specialmente quando servono a descrivere mondi così articolati e complessi come quello arabo e quello musulmano. Questo non significa però che in passato tale formula non sia risultata efficace per spiegare e ren-dere comprensibili alcune dinamiche complesse che hanno attraversato il Medio Oriente, e il mon-do musulmano in generale, negli ultimi sessant’anni.
La politica estera e di sicurezza italiane tradizionalmente non godono dell’attenzione che merite-rebbero. Tanto nel dibattito pubblico quanto in quello accademico e degli esperti di politica interna-zionale il tema sembra essere quasi del tutto ignorato.
Nonostante la prudenza dei vertici dell’amministrazione statunitense (primi fra tutti il presidente Obama e il segretario di Stato Clinton), la coincidenza dell’uccisione dell’ambasciatore Usa in Libia, Chris Ste-vens, con l’undicesimo anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001 ha contribuito a riportare al centro dell’attenzione il ruolo di al-Qaeda, se non come motore degli scontri in atto, come possibile fattore distorsivo delle aspettative democratiche sollevate dalla Primavera araba, fornendo nuovo ali-mento allo stereotipo di una contrapposizione sostanzialmente monolitica...
«Coesistenza pacifica» fu l’espressione che il leader sovietico Nikita Chruščëv utilizzò negli anni Cinquanta per definire lo stato delle relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica dopo la morte di Joseph Stalin: certamente più distese, ma ugualmente competitive e non prive di tensioni. Nel 2012, a oltre vent’anni dalla costituzione della “nuova” Federazione Russa, una condizione di com-petizione tra le due ex superpotenze perdura.
Quattro anni dopo l’inizio di tutte le grandi speranze che sottintendeva «Yes, we can», il conflitto fra Israele e palestinesi è esattamente al punto in cui l’aveva lasciato George Bush. Forse peggio: oggi ci sono più coloni e più avamposti israeliani nei Territori occupati palestinesi. Nel 2010 di questi giorni Barack Obama aveva annunciato che nel 2011, l’assemblea generale delle Nazioni Unite avrebbe celebrato la nascita dello Stato palestinese. Non è accaduto allora e nel 2012 nemmeno se ne parlerà.
Nella nuova Libia libera ogni volta che scoppia una bomba o muore un uomo, l’orologio che scandisce i progressi della rinascita si blocca, per un istante. Com’è successo alla detonazione delle due autobombe di Tripoli l’altra settimana o per gli attentati ancor più recenti ai santuari Sufi. Il tempo è un fattore determinante per il nuovo corso dei paesi mediterranei che hanno annusato la primavera, ormai più di un anno fa, e ne sono rimasti inebriati. La Storia è maestra in materia: per la rivoluzione e il cambiamento ci vuole tempo, anni.
L’emigrazione rappresenta un aspetto centrale della vita economica e sociale dell’Italia repubblicana fin dalla sua fondazione. Nel 1945, appena termina la seconda guerra mondiale, copiosi flussi di emigranti italiani si riversano fuori dai confini nazionali per cercare un lavoro, andando a infoltire le già cospicue comunità presenti in tutto il mondo. Nell’Italia repubblicana le caratteristiche dei flussi emigratori sono diverse rispetto al passato. Innanzitutto gli italiani si dirigono prevalentemente non più oltreoceano ma nei paesi europei, prima in Francia e in Belgio poi soprattutto...