Le consultazioni del 23 ottobre prossimo per l’elezione dell’Assemblea costituente rappresentano la prima vera prova di democrazia nella nuova Tunisia uscita dalla Rivoluzione dei gelsomini, dopo 23 anni di dominio incontrastato dell’ex presidente a vita Zine al-Abidine Ben Ali. Il carattere popolare di una Rivoluzione “senza leaders” in combinazione con il dinamismo di una società civile composita fanno delle prossime elezioni un reale esercizio di democrazia al di là delle forme.
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Per la seconda volta in nove mesi la Tunisia sarà sotto i riflettori dell’attenzione internazionale.
La prima volta fu per l’improvvisa e imprevista eruzione della rivolta che nel giro di un paio di settimane defenestrò Ben Ali e innescò quel processo protestatario della Primavera araba che sta ancora attraversando gran parte del mondo arabo.
La rivoluzione porta la libertà, o la promette: già così ha una responsabilità formidabile i cui esiti ultimi sono tutt’altro che scontati. Tutte le rivoluzioni fanno ancora più fatica a portare pane e lavoro a chi le ha sognate o realizzate. Cosa prevaleva nel movimento che partendo da un villaggio anonimo ha investito Tunisi e la Tunisia ed è culminato nell’esautoramento di Zine El Abidine Ben Ali? Finora si è trattato soprattutto di libertà ma non è detto che l’intendenza seguirà. Le elezioni da sole non sono neppure un punto d’arrivo.
Una nuova locomotiva per ridare slancio all’Europa della crisi euro e del rischio default nel Mediterraneo: il ruolo che il Gruppo di Vysehrad è chiamato ad assolvere nell’Unione europea odierna è, senza dubbio, di primaria importanza soprattutto sul piano economico ed estero: di portata inimmaginabile al momento della costituzione del Quartetto nel lontano 15 febbraio 1991, quando l'emerito presidente polacco, quello ceco, e il premier ungherese – cioè Lech Wałęsa, Vaclav Havel e József Antall – hanno deciso di coordinare le forze di un’Europa Centrale
Quando arrivò trionfalmente al potere, nel 2007, Nicolas Sarkozy riuscì ad accreditarsi agli occhi dei francesi come un riformatore e un modernizzatore del Paese dopo gli anni dell’immobilismo paternalista di Chirac. E riuscì ad offrire alle destre europee un nuovo modello di riferimento. Per molti, Sarkozy si presentava come il Blair di destra, l’uomo capace di portare i capisaldi della tradizione sul terreno impervio dell’innovazione sociale e culturale.
Qualsiasi cosa accadrà non è una nuova stella che sta per nascere alle Nazioni Unite. Nella migliore delle ipotesi brillerà una Palestina che non è la Palestina indipendente attesa dal 1947 ma un suo surrogato diplomatico, ancora a metà del guado verso la sovranità. Nella peggiore non accadrà nulla.
Beyond the immediate crises, centring on the inability of countries such as Greece, Ireland and Portugal to finance their public debt without EU/IMF support, at the heart of the Euro crisis lies the increasing divergence in economic performance between the core and the periphery, aggravated by current austerity programmes, especially in those countries with long-standing structural reform deficits. For example, the Commission’s Spring Forecast shows that the worst growth performance forecast in 2011 and 2012 is for Greece and Portugal(1).
La Libia è entrata nella “primavera araba” in maniera anomala. Per la natura armata della rivolta-guerra civile scatenata contro Gheddafi, la sua internazionalizzazione, sollecitata e ottenuta da Bengasi nella consapevolezza che senza un sostegno armato esterno non sarebbe mai riuscita ad aver ragione del Rais. Che ha avuto il duplice torto di essersi reso inviso a (quasi) tutta la Comunità internazionale, ben prima dello scoppio della rivolta, e di governare un paese ricco ma non importante strategicamente.
Dopo 42 anni di dittatura maniacale e monolitica le sfide a cui la Libia deve fare fronte sono molte. Non si tratta solo di curare le profonde ferite lasciate dal conflitto, ma di ricostruire in pratica dal nulla il sistema di governo e la società civile. L'ambiente è fragile: un recente studio della Columbia University di New York stima a 43% le possibilità di guerra civile.
Il 7 luglio il presidente Saleh è comparso in video per la prima volta dopo l’attentato dinamitardo subito il 3 giugno nella moschea del palazzo presidenziale e il ricovero in un ospedale militare a Riad in Arabia Saudita. Visibilmente provato per le ferite e le ustioni riportate nell’attentato, Saleh ha affermato di essere favorevole a una condivisione del potere con l’opposizione purché all’interno di una cornice costituzionale.