Alcuni analisti hanno sottolineato come la crisi libica sia la prima di un’era post-americana, almeno nel Mediterraneo; la prima nella quale un presidente statunitense si accoda all’iniziativa di un presidente europeo, quello francese, anziché il contrario. In effetti l’operazione militare in Libia è stata fortemente voluta dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Lo scoppio della rivolta araba aveva colto impreparata la Francia come molti attori internazionali.
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Tradizionale teatro della politica d’influenza francese, il Continente africano conosce in questi mesi un rinnovato attivismo da parte di Parigi. Serrata fra i crescenti interessi geopolitici di potenze emergenti(1) e costrizioni legate al proprio passato coloniale e neocoloniale, la Francia ha appena segnato in Costa d’Avorio un ultimo e contradditorio episodio di una tradizionale quanto anacronistica “politique de la cannonière” in Africa subsahariana.
Anche grazie alla "relazione privilegiata" con Mosca, all'interno dell'Ue l'Italia può giocare un ruolo importante nel rafforzamento del Partenariato Orientale, sebbene debba tener conto delle sensibilità particolari di paesi come Ucraina e Georgia.
The European Council meeting of 24/25 March 2011 delivered parts of a “comprehensive package” for the reform of European economic governance.In the last twelve months, the reform of economic governance moved forward at an impressive speed. But last Friday’s summit by far did not solve the most pressing issues ahead. The EU, and especially the Eurozone, will have to continue tackling tricky questions some of which concern the political nature of the Eurozone. Two examples illustrate this.
Uno spazio, un’ambizione, un metodo. Questi gli elementi strutturali che emergono dai lunghi negoziati comunitari conclusisi a Bruxelles con il Consiglio Europeo della settimana scorsa.
La crisi postelettorale nata dalla contestazione dello scrutinio presidenziale del 28 novembre scorso sta spingendo la Costa d’Avorio, il più ricco paese dell’Africa occidentale francofona, al collasso economico e verso una guerra civile in grado di destabilizzare l’intera regione. Tale eventualità, tra l’altro, unirebbe consistenti flussi migratori a quelli ora in partenza dalle coste dell’Africa settentrionale alla volta dell’Europa.
Anche l’Arabia Saudita corre il rischio di essere travolta dall’impeto protestatario che ha investito gran parte dei paesi arabo-islamici, ha fatto cadere Ben Ali e Mubarak e sta scuotendo i confinanti Yemen, Bahrein e da ultimo Oman, per non parlare del dramma libico in atto?
Saranno la Turchia e l’Iran a emergere come paesi leader dopo le rivolte arabe. Entrambi i paesi sono convinti di essere i veri modelli politici su cui puntano le sommosse popolari: la democrazia post-kemalista e vetero-islamica di Ankara, e la teocrazia militarizzata di Teheran. Le azioni diplomatiche e commerciali messe in atto negli ultimi anni dimostrano come sia la Turchia sia l’Iran, vogliono ritagliarsi il ruolo di guida del quadrante.
Delle guerre in corso si dice che quasi sempre si sa come sono iniziate ma mai come finiranno. Della Rivolta Araba non sono ancora ben chiare alcune fasi della sua genesi e certo è impossibile dire dove porterà. Verso fine febbraio, dopo le “rivoluzioni” tunisina ed egiziana e nel pieno di quella libica, tra i molti quesiti più immediati, uno riguardava il possibile “contagio” della Rivolta.
Il mondo arabo è in agitazione, attraversato da quella che appare come una vera “ondata di democratizzazione” in un’area finora refrattaria al cambiamento. In tal senso, Tunisia ed Egitto potrebbero rivelarsi solamente i primi tasselli di un quadro molto più ampio. Tali transizioni – e in particolare gli ultimi sviluppi della crisi egiziana – offrono l’opportunità di riflettere in modo più generale su quello che potrebbe essere un fattore cruciale in questo processo: ovvero il ruolo degli attori esterni.