In questi mesi è in corso un profondo ripensamento della politica estera italiana verso alcune aree e verso alcuni paesi. L’Italia, nella conduzione della propria politica estera, è spesso riuscita, nel corso di decenni, a conciliare due esigenze entrambe fondamentali: la necessità di buone relazioni con paesi per essa strategicamente rilevanti, come Libia, Iran, Russia, ma politicamente difficili per la sfera d’afferenza atlantica, e la piena appartenenza proprio al campo atlantico ed europeo dell’Italia.
Search results:
Undoubtedly, integrated Europe and the United Kingdom have a curious and strange relationship. Since the very beginning of the European integration process the UK showed skepticism and, often, annoyance. The reasons for such a feeling can be identified in the peculiar history of the British people: local conflicts led to stabilization, growth and imperial splendor. The end of the Second World War, nevertheless, introduced a new era of international dialogue, mutual respect and led almost inevitably to the decolonization process.
È trascorso un anno dalle prime manifestazioni di protesta in Piazza Tahrir (cominciate esattamente il 25 gennaio 2011), che nel volgere di pochi giorni hanno assunto forma e dimensione di un’impressionante sollevazione popolare, da molti poi definita una vera e propria rivoluzione.
«Abbiamo avuto colloqui iniziali produttivi con le autorità, riguardo a un possibile programma sostenuto dal Fmi per aiutare a stabilizzare l’economia egiziana», annunciava qualche giorno fa Masood Ahmed, il direttore del dipartimento Medio Oriente del Fondo monetario internazionale. Si ricomincia daccapo, quindi, in una situazione economica ai limiti del collasso.
Quella libica non è stata una guerra per il petrolio attuale, ma per gli idrocarburi del futuro. Nell’agosto scorso Teheran ha ospitato la cerimonia per il cinquantesimo anniversario di fondazione dell’Opec, con il ministro del petrolio iraniano, Masoud Mirkazemi, che ha affermato, per le orecchie che vogliono intendere, che «il mercato petrolifero non va politicizzato» e che l’Organizzazione con sede a Vienna vuole espandere il proprio ruolo nella sicurezza degli approvvigionamenti energetici e delle linee di trasporto.
Si è sempre detto che l’Università Central de Venezuela (Ucv) è un termometro del paese. Dall’inizio del XX secolo, riflette – e spesso anticipa – come uno specchio speciale le tensioni politiche, sociali ed economiche della società venezuelana. Nel 1928, quando Juan Vicente Gómez imponeva il suo cruento regime dittatoriale, sono stati gli studenti della più grande università del paese a organizzare la prima rivoluzione per la democrazia. E negli anni ‘70 la guerriglia marxista operava sulle montagne ma anche tra i corridoi della facoltà di scienze politiche....
La congiuntura internazionale nella quale ci troviamo è paradossale, ai limiti dell’ironia.
Nelle migliori democrazie i governi ricorrono frequentemente ai tecnici. Si servono delle loro competenze, li usano per periodi più o meno lunghi con incarichi di varia natura e li restituiscono al mondo accademico, al mondo delle aziende o a quello delle libere professioni. Nelle democrazie presidenziali e, in particolare, là dove l’esecutivo non risponde delle sue azioni al Parlamento, il governo si compone prevalentemente di tecnici.
L’islam politico come emulazione o riedizione del khomeinismo non sembra avere un futuro. A differenza di quanto avvenuto e avviene in Iran, la leadership religiosa, soprattutto nei paesi a maggioranza sunnita, non fa registrare una presenza attiva nella società e nel discorso sul potere balbetta. Al più mullah e ulema si pronunciano in modo più o meno solenne sulla morale pubblica e sui comportamenti personali.
Nel commentare i risultati dei vertici Ue degli ultimi anni ci si trova all’inizio nella scomoda posizione di oscillare tra l’apprezzamento per quello che è stato fatto (dati gli stretti vincoli politici) e la frustrazione per quello che si sarebbe potuto fare. Una sorta di reiterata indecisione tra il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, secondo quella che è ormai diventata la metafora più usata in questi casi. Il modo migliore per uscire da questa empasse è quello di valutare l’importanza della posta in gioco e capire se sono state prese misure adeguate.