The migration from Africa towards Europe, in the present political, military and humanitarian context, represents a crucial variable for Europe. This is an issue not only for the Mediterranean Member States - which have to manage the flows of people migrating from Libya and Tunisia – but it is an issue also for the entire infrastructure of European governance.
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Negli ultimi mesi il dibattito politico in Turchia è stato dominato dalla campagna elettorale in vista della consultazione legislativa del 12 giugno. Sullo fondo delle polemiche legate alla congiuntura elettorale si colloca tuttavia un più profondo percorso di cambiamento della politica nazionale turca e dei suoi principali protagonisti partitici.
Tre immigrati su dieci in Italia provengono da un paese dell’Africa sub-sahariana, con conseguenze per l’Europa intera. Ma la situazione sta cambiando: l’emergere di potenze non tradizionali sta modificando il modo in cui la stessa Africa si collega al mondo, e potrebbe quindi mutare anche quantità, direzione e obiettivi dei flussi migratori verso l’Europa. E anche la politica degli aiuti tradizionale, spesso utilizzata anche come strumento per tentare di frenare l’immi-grazione, potrebbe risultarne condizionata.
Il Nord Africa, dall’Egitto alla Tunisia, alla Libia, è ormai da mesi attraversato da sconvolgimenti politici, economici e militari che cambieranno in modo sostanziale il percorso di sviluppo di quell’area. Questo ci ricorda ancora una volta, e forse più che in passato, quanto le due facce del Mediterraneo siano vicine.
Durante i continui sbarchi a Lampedusa e nel mezzo delle polemiche con l’Unione europea, il presidente Napolitano ha ricordato a tutti che c’è più bisogno di Europa, di un’Europa che parli con una sola voce. A prescindere da come la si pensi, è innegabile infatti che l’Unione europea semplicemente non c’è – o al massimo gioca un ruolo subalterno a quello degli stati – quando si tratta di temi estremamente delicati come la politica estera, la sicurezza, l’immigrazione.
La questione nordafricana ha contribuito a ingarbugliare ancora di più la faccenda immigrazione – minaccia terroristica. Non si tratta di uno spunto nuovo ma il suo valore si incrementa in presenza di momenti politici significativi o quando i flussi incontrollati di persone aumentano il grado di incertezza che consegue la risposta a domande quali «Chi? Da dove? Quando?... e quanti?».
Cerchiamo di capire, rispetto a una funzione di utilità, cosa converrebbe fare… per fare il terrorista.
La crisi che il regime siriano sta affrontando potrebbe avere ripercussioni che vanno ben oltre i confini nazionali, maggiori rispetto a quelle prodotte dalla caduta del regime in Tunisia ed Egitto e a quelle provocate fino a ora dal conflitto in cui la Libia si trova attualmente coinvolta.
Alcuni analisti hanno sottolineato come la crisi libica sia la prima di un’era post-americana, almeno nel Mediterraneo; la prima nella quale un presidente statunitense si accoda all’iniziativa di un presidente europeo, quello francese, anziché il contrario. In effetti l’operazione militare in Libia è stata fortemente voluta dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Lo scoppio della rivolta araba aveva colto impreparata la Francia come molti attori internazionali.
L’aspro dissidio tra Italia e Francia ha finora impedito di cogliere la straordinaria occasione offerta dalle rivolte sull’altro lato del Mediterraneo. La domanda di libertà che si leva dalle giovani generazioni arabe dovrebbe invece indurre i due paesi ad accompagnare sbocchi che appaiono incerti e diversi ma all’interno di un processo ormai irreversibile. Non ha senso impedire che la primavera araba sia sepolta a Bengasi se su di essa non si sanno costruire strategie nazionali ed europee.
A 150 anni dall’unità nazionale, la politica estera italiana è alla ricerca di un nuovo equilibrio tra l’impegno nei contesti multilaterali e lo sviluppo di rapporti con una fitta rete di paesi: da quelli mediterranei alla Russia, dal Brasile alla Cina.