“Il vostro obiettivo per il momento dovrebbe essere quello di insegnare loro le basi, educarli ad essere veri musulmani, e solo fra alcuni anni allora sarete in grado di introdurli a norme più dure perché le persone così capiranno che cosa ci si aspetta da loro”. Chi parla, anzi scrive, è Abou Mossab Abdelwadoud (nom de guerre di Abdelmalek Droukdel), leader di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), in una lunga lettera pedagogica ai suoi seguaci di stanza in Mali.
La genesi degli stati africani, soprattutto per quanto riguarda la loro conformazione geopolitica, è stata segnata, più di quanto non avvenga un po’ ovunque quando ci siano scambi trasversali di carattere umano o economico, da influenze esterne. Il colonialismo europeo, nella sua funzione di state-maker, ha rappresentato il fattore che ha influito di più non solo sul tracciato dei confini ma sulle istituzioni e in ultima analisi sui meccanismi del potere, a cominciare dal grado effettivo d’indipendenza conseguita o consentita.
Due settimane fa l’appello congiunto lanciato dalla dirigenza di al-Qaida nella Penisola Arabica (AQAP) e di al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM) a favore di una ritrovata unità del fronte jihadista siriano (duramente segnato negli ultimi mesi da scontri intestini di estrema violenza) aveva scatenato una ridda di interpretazioni profondamente differenti.
Al centro di un’area strategica attraversata da conflitti, crisi endemiche e attività terroristiche, l’Algeria si avvicina all’appuntamento elettorale tra numerose incognite dettate da fattori endogeni – tra cui il serpeggiante malessere sociale e le ripetute proteste delle minoranze berbere – ed esogeni che lo rendono una sorta di eccezione rispetto al delicato panorama del Nord Africa e del Sahel.
La fascia saheliano-sahariana è una regione sempre più instabile e insicura. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una presenza sempre più massiccia di movimenti jihadisti e indipendentisti. Il Mali, che si appresta a tornare a libere elezioni il 28 luglio, è divenuto rapidamente l’epicentro di questo vasto “Africanistan” che ha costretto nel gennaio scorso la Francia e alcuni paesi africani ad un intervento armato contro le formazioni radicali e secessioniste che avevano occupato il nord e proclamato lo Stato dell’Azawad. Questa parte di Africa, dal Mediterraneo al golfo di Guinea, dall’Algeria alla Nigeria pare sempre più inghiottita nel mondo arabo-islamico: qui si nascondono e agiscono gruppi (Aqim, Mujao, Ansar al-Din, Mnla, ma anche Boko Haram) capaci di ottenere il controllo di parti di territorio con l'obiettivo di estendere le attività di proselitismo in tutto il continente, conducendo traffici illeciti di ogni tipo, e gettando un’inquietante ombra sulla capacità della comunità internazionale di pacificare questa area.
Da oltre 50 giorni l’Algeria sembra un paese paralizzato a causa delle incerte condizioni di salute del presidente Abdelaziz Bouteflika, colpito il 27 aprile scorso da un’ischemia e ricoverato d’urgenza all’ospedale militare di Vil-de-Grâce di Parigi. Sebbene fin da subito il governo abbia provato a minimizzare l’accaduto e a tenere sotto controllo ogni informazione circolante , i sospetti sulle reali condizioni del capo di stato algerino hanno immediatamente infiammato il dibattito interno su quale sorte potrà attendere il paese nordafricano.
Lo scorso 22 febbraio, il presidente statunitense Barack Obama ha annunciato, con una lettera al Congresso, il dispiegamento di circa 40 funzionari militari in Niger, portando dunque a 100 il numero totale delle truppe Usa presenti nel paese africano.