L’internazionalizzazione è uno dei pilastri del Piano 2017-2026 del Gruppo Ferrovie dello Stato, come dimostrano molte iniziative strategiche assunte da FS nell’ultimo anno. Italferr, società di ingegneria del gruppo, è da anni una società con due anime: quella del mercato captive, domestico, e quella votata all’internazionalizzazione, essendo in qualche misura un precursore delle strategie del gruppo.
La Via della Seta non può essere solo marittima, o solo gomma o solo ferro. Va creato un sistema integrato intermodale che permetta a tutte le realtà di cooperare insieme.
In tale ottica, occorre ragionare sulla possibilità che l’Italia si trasformi in un hub concorrenziale rispetto al Nord Europa. A favore dell’approccio intermodale si sono espressi i numerosi studiosi e stakeholder, nazionali ed esteri, intervenuti al Convegno organizzato dall’Interporto di Parma sugli sviluppi logistici ed infrastrutturali della Nuova Via della Seta.
Per comprendere gli sviluppi logistici e infrastrutturali della BRI (Belt and Road Initiative) e creare le condizioni affinché possa realizzarsi la “svolta italiana” della Nuova Via della Seta, occorre iniziare a guardare alla BRI nel giusto modo. Riconoscere le molteplici anime dell’iniziativa - non solo sul fronte marittimo e terrestre, ma anche aereo - e valutandone contestualmente le dinamiche infrastrutturali, commerciali, finanziarie, tecnologiche, doganali e istituzionali ad esse collegate.
Se nel costume popolare si è soliti affermare che “tra i due litiganti il terzo gode”, in realtà l’Unione Europea e, ancor più nello specifico l’Italia, rischiano invece di patire un aumento di conflittualità fra Usa e Cina, le due maggiori potenze mondiali. Il traumatico passaggio dall’amministrazione Obama a quella Trump ha inasprito una tensione latente che si manifestava tramite il “pivot to Asia”.