La conferenza di Sharm el-Sheikh, organizzata dal governo egiziano tra il 13 e il 15 marzo, ha avuto come principale obiettivo di dimostrare che l’Egitto è tornato a essere un luogo economicamente importante su cui investire e politicamente rilevante su cui scommettere. È un messaggio rivolto soprattutto all’opinione pubblica egiziana, che si aspetta un miglioramento della situazione interna dopo anni di difficoltà economiche.
Le ragioni per essere ottimisti sui risultati di Ginevra II sono poche. E non lo sono solo a causa del clima d’ineluttabile e pessimistico fatalismo, che per gli osservatori occidentali generalmente circonda ogni processo (dalla pace in Palestina alla democratizza-zione in Nord Africa) che dovrebbe portare a un qualche miglioramento all’interno delle società mediorientali. Questa volta ci sono, purtroppo, almeno due ottime ragioni per essere pessimisti, l’una profondamente interconnessa all’altra.
La modalità con la quale è stata gestita la (non) partecipazione iraniana ai colloqui di pace di Ginevra è profondamente indicativa della complessità della situazione e, purtroppo, sembra preannunciare un ennesimo fallimento nella gestione dell'emergenza siriana, allontanando, di fatto, ogni ipotesi di risoluzione politica della crisi.
«… Non vi sono alternative alla soluzione politica ed essa deve andare di pari passo con il processo umanitario, e con un cessate il fuoco generalizzato….È impensabile che Bashar al-Assad resti al potere…È necessario che l’opposizione partecipi alla Conferenza di pace di Montreux-Ginevra in modo coordinato e il più inclusivo possibile….Una sua non-partecipazione sarebbe una vittoria del regime di Assad e, soprattutto, non avvierebbe quel processo di pace, difficile e dai tempi medio-lunghi, finalizzato alla formazione di un governo di transizione c
I recenti attacchi che hanno colpito le postazioni dello Stato Islamico dell’Iraq e di al-Sham (Isis) nel nord della Siria hanno riportato alla luce le profonde divisioni dell’opposizione armata, a pochi giorni dall’inizio dei colloqui di “Ginevra II”.