L’idea di una conferenza internazionale sulla Libia organizzata dall’Italia è nata in occasione della visita del premier Giuseppe Conte a Washington lo scorso luglio e, nell’immediato, ha trovato l’appoggio del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, favorevole a un rinnovato impegno del nostro Paese nel teatro di crisi del paese nordafricano. Al summit tenutosi a Palermo il 12 e 13 novembre, tuttavia Trump non ha preso parte, così come diversi dei capi di stato – da Putin a Macron – ai quali inizialmente si era pensato.
I temi atlantici occuperanno, con molta probabilità, un posto di rilievo nei colloqui che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, avrà con Donald Trump durante la sua visita a Washington dei prossimi giorni. Nelle ultime settimane (grossomodo dai giorni del G7 di Charlevoix) sembra essere emersa una convergenza di posizioni non del tutto inattesa fra l’amministrazione statunitense e l’esecutivo “giallo-verde” sui temi legati all’Alleanza Atlantica.
La visita a Washington del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sarà probabilmente un successo. Lo dice il fatto che, come Conte, anche il presidente americano vuole che sia così o che comunque venga così accreditato. Lo dice l’invito ricevuto a distanza così ravvicinata dalla formazione del nuovo governo.
L’imminente viaggio del presidente Conte a Washington, per le particolarità della presidenza Trump e, in certa misura, del governo Lega-5 Stelle, potrebbe non essere solo la visita “ad limina” alla Casa Bianca del presidente del Consiglio italiano poco dopo il suo insediamento, una costante della nostra politica del dopoguerra, a prescindere dal colore dei governi. La foto nel giardino delle rose della residenza presidenziale ha sempre rappresentato la massima aspirazione, e una sorta di consacrazione, dei nostri leader.
Henry Kissinger disse che non riusciva a capire gli uomini politici italiani. Quando gli fu prospettata la possibilità di un intervento militare per sciogliere un nodo che la diplomazia non riusciva a sbrogliare, Amintore Fanfani disse bruscamente: “non siamo marines”. E Giulio Andreotti non ha mai goduto delle simpatie del Dipartimento di Stato.