Non c’è avversario nella regione che sia scientificamente spiato e monitorato dal Mossad e dai servizi militari israeliani, quanto l’Iran. Se dunque oggi il regime di Teheran è il grande avversario dell’Arabia Saudita, come l’Urss lo fu degli Stati Uniti, il passaggio successivo sembra scontato: israeliani e sauditi hanno molte cose in comune, a cominciare dal nemico per continuare con gli interessi strategici.
L'attuale crisi dei paesi del Golfo, centrata sulla rottura tra Qatar, Arabia Saudita e altri paesi arabi, ci ricorda quanto questi siano importanti per le economie occidentali, ma anche quanto il Medio Oriente continui ad essere uno scenario geopolitico estremamente complicato, caratterizzato da un complesso sistema di alleanze e ostilità giustificate e legittimate generalmente dalle linee divisorie dell'Islam tra sunniti e sciiti, ma basate su interessi materiali, politici ed economici precisi.
La nomina di Mohammed bin Salman (MbS) quale nuovo principe ereditario al trono saudita (21 giugno) e la rottura delle relazioni diplomatiche tra Qatar e il fronte sunnita capitanato dall’Arabia Saudita (5 giugno) confermano che quanto sta andando in scena in questi giorni nel Golfo non è una semplice crisi passeggera. Sebbene i due eventi non siano direttamente legati tra loro, essi rappresentano di fatto un continuum dalle ripercussioni geopolitiche e strategiche imprevedibili.
La crisi politica apertasi all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo tra fine maggio ed inizio giugno - quando Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrein hanno rotto tutte le relazioni e chiuso tutti i confini con il Qatar - ha presto coinvolto l’intera regione mediorientale. Prevedibilmente, l’Egitto si è schierato con i suoi patroni politici e finanziari, gli Emirati Arabi Uniti.
Molte cose stanno cambiando in Arabia Saudita. Alcune in maniera poco visibile e comunque poco apprezzabili ai nostri occhi, come nell’area dei diritti della persona, e della donna in particolare, dove il patto tra la famiglia regnante e la famiglia religiosa posto a fondamento della stessa identità nazionale lascia meno spazio all’allentamento di usi e tradizioni consolidati.
La nomina del trentunenne Mohammed bin Salman a nuovo principe ereditario al trono dell’Arabia Saudita rappresenta l’ennesimo, e forse decisivo, segnale del cambiamento in atto nel regno dei Saud.
Il Venezuela vive ormai in uno stato di calamità permanente. La situazione economica venezuelana non è più definibile con la parola “crisi”, ma è necessario appellarsi al termine “collasso”, molto più adeguato per spiegare ciò che sta avvenendo nel paese sudamericano. Durante le crisi economiche si assiste a riduzioni del PIL, aumento della disoccupazione, contrazione della produzione industriale. Ma sempre per un periodo più o meno lungo, e con un mercato che continua ad esistere, a produrre e a soddisfare bisogni della collettività.
Un corrispondente del New York Times da Roma ha definito “arcani” i cambiamenti costituzionali che gli italiani hanno respinto con il referendum del 4 dicembre 2016. Suppongo che altrettanto arcane sembreranno in molte capitali internazionali le vicende italiane dei prossimi mesi. Nelle corrispondenze dall’Italia prevarrà ancora una volta la convinzione che il paese sia troppo machiavellico, nel senso peggiore della parola, per essere decifrato con criteri validi per le altre democrazie occidentali.
Il debito pubblico di Brasilia è in traiettoria crescente. Solo un limite alla spesa inserito in Costituzione potrebbe arrestare la rapida marcia verso il dissesto del bilancio dello stato.
Il mondo è sconvolto dalle immagini che arrivano da Aleppo dove, dopo una tregua che già in anticipo si sapeva fosse destinata a non durare, le forze del presidente Bashar al-Assad appoggiate dalla Russia hanno effettuato pesanti bombardamenti sulla città, che hanno provocato la morte di decine di civili, tra cui molti bambini. Per meglio dire, dovrebbe essere sconvolto. Nella realtà, però, l’informazione sembra dare relativamente poco spazio alle notizie che giungono dalla Siria.
Il quinto anniversario dell'indipendenza del Sud Sudan è trascorso, ancora una volta, in un clima di tensione altissima e scontri tra l'esercito governativo Sudan People's Liberation Army (SPLA) e i ribelli dell'SPLA-In-Opposition (IO). La cronaca dell'escalation resta confusa: sembra che il 7 luglio, a due giorni dall'anniversario, uno scontro a fuoco tra soldati governativi e membri dell'SPLA-IO abbia ucciso cinque soldati.
La borsa cinese va in crisi e si porta via le certezze sull’efficacia del modello cinese e sulla forza della leadership di Xi Jinping. Se la legittimità del governo di Pechino si basa sull’assunto che il Partito comunista cinese è la migliore garanzia per lo sviluppo economico, i dati sul rallentamento dell’economia diventano una minaccia per la stabilità del governo.
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