Uno dei temi principali dell’incontro tra il presidente statunitense Barack Obama e il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi sarà certamente la crisi dell’Ucraina e le relazioni tra Occidente e Russia. L’Italia ha la necessità di elaborare un approccio condiviso nei confronti della Russia, poiché il conflitto in Ucraina ha messo in questione tutti gli sforzi diplomatici degli ultimi trent’anni per un avvicinamento tra la Russia e l’Occidente, da sempre uno dei punti focali nell’agenda della politica estera italiana.
Sono passati due anni dalla morte di Hugo Chávez e dall'elezione a presidente di Nicolás Maduro, che vinse con una maggioranza molto limitata contro il candidato dell’opposizione Henrique Capriles. Sono stati due anni caratterizzati da un’elevatissima conflittualità interna e da una crescente repressione dell’opposizione, culminata con l’arresto di uno dei suoi leader, Leopoldo López, un anno fa e di Antonio Ledezma, sindaco di Caracas, lo scorso 19 febbraio. Alcune manifestazioni hanno avuto episodi di elevata violenza, con decine di morti.
Quella che sta di nuovo esplodendo in Venezuela è la crisi più annunciata della sua recente e tormentata storia. E rischia di essere anche la più brutale e imprevedibile. Come finirà la folle corsa venezuelana lungo il piano inclinato su cui si avviò una ventina d’anni orsono? Basta una scintilla per dare fuoco alle polveri e gli ingredienti della tragedia sono tutti serviti. C’è innanzitutto la crisi economica, difficile a digerirsi in un paese che per oltre un decennio ha incassato fiumi di denaro pompati dal barile sopra i 100 dollari.
Nell’ultimo fronte di crisi apertosi in Libia spicca indubbiamente la passività degli Stati Uniti. Obama, che si appresta a inaugurare a Washington una due giorni su come fronteggiare la violenza degli estremismi, ha deciso di chiedere al Congresso una esplicita autorizzazione ad utilizzare la forza contro l’ISIS.
Dopo quasi cinque anni di austerity, la Grecia torna alle urne domenica prossima. Il risultato appare ancora incerto, anche se i partiti euroscettici sembrano in vantaggio. Syriza e il suo leader Alexis Tsipras sembrano poter capitalizzare le scelte che hanno permesso al partito di presentarsi sotto forma di una formazione politica nuova, non inquinata dalla corruzione che contraddistingue la vecchia classe politica. L’Europa guarda con attenzione ad Atene e trattiene il fiato nel timore di un nuova ondata di instabilità che potrebbe colpire anche l’Italia e mettere a dura prova il quantitative easing annunciato appena ieri da Mario Draghi. Pur nelle incertezze, i margini per una rinegoziazione tra la troika ed Atene sembrano comunque possibili.
Il fabbisogno energetico globale si espande incessantemente e le fonti fossili continuano a dominare i consumi di tutte le grandi economie. Le crisi che in questi anni stanno sconvolgendo alcune delle principali aree di produzione stanno inevitabilmente condizionando le scelte politiche dei governi, con conseguenze di lungo periodo.
Il volume propone una serie di riflessioni su alcuni dei principali Paesi sulla scena energetica globale: per ciascuno di essi ricostruisce le dinamiche attuali e analizza le possibili conseguenze sul prossimo decennio.
La Libia è oggi un paese diviso in due. Da una parte le milizie islamiste, legate alla Fratellanza musulmana, controllano la maggior parte della Tripolitania e dell’ovest. Dall’altra, le forze del generale Haftar mantengono le loro posizioni in diverse zone dell’est e assediano da settimane la città di Bengasi.
L’incertezza che avvolge la situazione politica, economica e geopolitica ucraina rende il paese ancora instabile e vulnerabile con pericolosi riverberi sia a livello regionale che internazionale. Da un punto di vista interno, il governo centrale non ha ancora acquisito il pieno controllo delle regioni sud orientali che persistono in un limbo precario che facilmente può degenerare in nuove tensioni.
I recenti sviluppi della crisi libica sembrano implicare un ulteriore escalation di violenze in Libia, mentre l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, tenta faticosamente di avviare un dialogo tra le varie fazioni in gioco. Il paese è ora governato da due autorità, l’una a Tobruk, l’altra a Tripoli, che in realtà non hanno vero controllo sul paese.
Alcune crisi internazionali in corso (si pensi in particolare alle operazioni militari contro l’IS o Isis) paiono mettere in discussione la tenuta della disciplina ‘tradizionale’ attinente al divieto di uso della forza nelle relazioni internazionali ed alle sue eccezioni. È invece indiscutibile che l’intervento russo in Ucraina, per quanto possano essere ‘originali’ certe sue caratteristiche e modalità di attuazione, ricada tra le violazioni palesi del diritto internazionale.
La crisi che nel corso del 2014 ha travolto l’Ucraina è stata, comprensibilmente, l’epicentro di una serie di ripensamenti politico-strategici su diversi fronti. Le vicende ucraine hanno infatti investito, oltre gli assetti politici e i conflitti interni al paese, anche la politica estera russa e le diverse aspettative che i paesi occidentali avevano rispetto ai disegni politici di Putin, alla Nato e infine le priorità dell’Alleanza di fronte a una politica più assertiva da parte russa, l’Ue e le sue divisioni interne.
Il laconico comunicato con cui il 3 di giugno il primo ministro libico, Abdullah al-Thani, annunciava l’attesa svolta, capace di risollevare la Libia dal caos, peccava probabilmente di ottimismo. «Abbiamo ricevuto in consegna i terminali di Ras Lanuf e di Es Seder. Senza ricorrere all'uso della forza. Dichiaro ufficialmente che questa è la fine della crisi petrolifera» aveva dichiarato al-Thani, visibilmente soddisfatto, da Ras Lanuf.
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