Tra le numerose incognite che circondano l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ve n’è una che tiene con il fiato sospeso attori internazionali diversissimi fra loro: Cina, Russia, Unione europea, Iran. Proprio quest’ultimo paese infatti è stato oggetto di aspri attacchi da parte del neoeletto presidente, che più volte durante la campagna elettorale ha ribadito di voler “stracciare” l’accordo sul nucleare e negoziarne uno nuovo.
La politica estera non entusiasma la competizione elettorale americana, né nella partita interna allo schieramento democratico né in quella del partito repubblicano. Ancor meno può entusiasmare nelle battute iniziali delle primarie, quelle di febbraio nelle quali si fanno strada i possibili candidati, in attesa del Super Tuesday.
Tutto pronto negli Stati Uniti per l’appuntamento più avvincente della lunga corsa alla nomination per la Casa Bianca: oggi è il Super Tuesday, la giornata che vede impegnato nelle elezioni primarie il più alto numero di stati in contemporanea. Per i repubblicani, si vota in undici stati e in palio vi è circa la metà (595) dei 1237 delegati necessari a vincere la nomination del partito; per i democratici, che votano in dodici stati, i delegati in palio sono invece circa un terzo (865) dei 2383 necessari.
Gli ultimi sondaggi CNN/ORC assegnano a Hillary Clinton un ampio vantaggio su Bernie Sanders (55% delle preferenze contro il 38% del senatore del Vermont), mentre in campo repubblicano si afferma come sempre più inarrestabile il fenomeno Trump (49% delle preferenze contro il 16% di Marco Rubio e il 15% di Ted Cruz).
Cosa sta succedendo all’interno dei due partiti? In che modo i risultati del Super Tuesday influenzeranno le strategie dei candidati nei mesi a venire? Quali le questioni al centro della campagna elettorale, quali le posizioni dei candidati e quali le implicazioni per il voto di novembre?
Questo Dossier si inserisce nell’ambito dell’iniziativa “US Election Watch” che ISPI ha lanciato per monitorare e analizzare le tappe principali della corsa elettorale più importante dell’anno. Attraverso pubblicazioni, eventi e un blog dedicato – che saranno periodicamente arricchiti anche da sondaggi IPSOS – verranno approfonditi tutti gli aspetti legati a questa lunga campagna.
L'ultimo dibattito tra i candidati repubblicani per le elezioni presidenziali del 2016 ha preso in esame le scelte di politica estera degli USA nel caso di vittoria del partito. Se la questione principale riguarda il contenimento dell'avanzata dell'IS, quali sono le possibili soluzioni? Dalla "no fly zone" proposta da Jeb Bush a una collaborazione più stretta con Mosca suggerita da Trump, le idee sembrano abbondare, ma allo stesso tempo sottolineano la mancanza di una linea univoca per un tassello - la politica estera - in assoluto fondamentale per gli Stati Uniti.
La trentennale alleanza tra il Partito Repubblicano e l’elettorato cubano-americano, inaugurata all’inizio degli anni Ottanta dall’amministrazione di Ronald Reagan, sembra essere giunta al termine[1].
Le elezioni presidenziali del 2012 hanno confermato una tendenza che si era già manifestata nella precedente tornata elettorale: il sostegno dei cubano-americani al Gop si sta riducendo, tanto che la comunità della Florida parrebbe dividersi in parti uguali tra i due principali partiti del sistema politico statunitense.