Da alcuni anni e sempre più spesso negli ultimi mesi, dall’interno dei paesi dell’Unione Europea si levano voci contro l’Unione stessa. Le critiche, le accuse e le recriminazioni sono diverse nei toni e nei contenuti. L’Europa non deve né può diventare uno stato perché non esiste oggi né esisterà in futuro un popolo europeo, un demos comune, al di sopra degli stati nazionali e dei popoli delle nazioni. La burocrazia di Bruxelles impone ai nostri paesi un’uniformità coatta e dannosa. L’Unione manca di legittimazione democratica.
Il Partito britannico dell’indipendenza (UK Independence Party – Ukip) venne creato all’inizio degli anni Novanta (1993), in seguito alla dissoluzione della Lega Anti Federalista, nata nel 1991 per contrastare le proposte contenute nel Trattato di Maastricht.
Il futuro di Alternative für Deutschland, il nuovo partito tedesco anti-euro che sta nascendo in queste settimane, può essere immaginato pensando a una forbice le cui due lame sono per il momento abbastanza distanti. Da una parte c’è l’elettorato potenziale, che secondo alcuni sondaggi potrebbe superare il 20 per cento del totale. Dall’altra c’è la quota effettiva di cittadini disposti a spostare il loro voto su una nuova formazione politica come questa: non più dell’1-2 per cento, secondo molti osservatori.
La crisi dell’euro ha fatto precipitare l’Europa nella “politica dell’ansia”. Il disagio sociale è sempre più acuto. Più della metà delle famiglie (Scandinavia e Germania escluse) dichiara che non ce la farebbe a sostenere una spesa inaspettata di mille euro nei prossimi dodici mesi, più di un terzo si definisce “povero”. Come stupirsi se elettori sempre più insicuri puniscono i leader in carica, si rifugiano nell’astensionismo, si lasciano sedurre dalle sirene populiste?
La reazione dei greci di fronte ai risultati delle elezioni italiane è stata univoca: è stato dato un sonoro schiaffo alla politica di austerità della cancelliera Merkel. Il ragionamento che è stato fatto nei maggiori quotidiani era che la sconsiderata politica applicata dall’Unione Europea sta distruggendo non solo il tessuto economico dei paesi più indebitati, ma pone in serio rischio anche le istituzioni democratiche: i nazisti a infangare il Parlamento di Atene, l’ingovernabilità in Italia.
Conviene essere subito chiari: né in Spagna né in Portogallo si sta verificando una ondata di populismo o euroscetticismo, come invece accade in altri paesi membri dell’Unione Europea (Ue).
La crisi esplosa tra il 2007 e il 2008 con lo scoppio della bolla speculativa sui mercati e il fallimento di Lehman Brothers negli Stati Uniti sta assumendo nuovi contorni: è stata prima finanziaria, poi è diventata economica, ora è sociale e politica. Ormai non c’è paese in Europa che di questi tempi non sia afflitto da sentimenti euroscettici o più semplicemente nazionalisti.
Dopo alcuni mesi di calma apparente arriva da una piccola isola del Mediterraneo una nuova spallata alla stabilità dell’Euro. Cipro ha bisogno di circa 17,5 miliardi di euro per essere salvata dal fallimento; una cifra non enorme se paragonata a quelle ben più alte della vicina Grecia, per non parlare dei 100 miliardi, o giù di lì, che sarebbero necessari per salvare il sistema bancario spagnolo, e tralasciando volutamente lo stratosferico debito italiano.
Domani a Nicosia si decide un altro pezzetto del futuro dell’Unione europea e dell’Eurozona. Risparmiatori, aziende e mercati aspettano di conoscere la decisione del Parlamento cipriota che si trova a dover approvare, se non quasi ratificare, l’imposizione di una tassa nazionale pari al 6,75 per cento sui depositi inferiori ai 100 mila euro e del 9,9 per cento su quelli superiori a questa soglia per salvare il Paese dalla bancarotta.
La Conferenza è stata promossa dall'ISPI e dall'American Chamber of Commerce.
I lavori sono stati aperti da uno speech di Dominick Salvatore, Professore di Chiara Fama alle Università Fordham, Shanghai Finance, Hunan, Pretoria e LUM Jean Monnet, oltre che consulente per Nazioni Unite, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Economic Policy Institute di Washington e varie Banche Centrali e multinazionali.
Il rapporto di Benedetto XVI con le Chiese ortodosse si è posto in continuità con la linea seguita da Giovanni Paolo II, ma allo stesso tempo ha marcato delle differenze. Wojtyła era animato da una passione evidente nei confronti del mondo ortodosso, carica di valenze molteplici, intrise anche di motivi biografici, connessi alla storia e alla cultura della Polonia.
Accade spesso che l’interpretazione delle questioni moderne e contemporanee debba essere fondata, se si vuole davvero comprendere e non solamente commentare gli eventi, nelle grandi tradizioni del pensiero antico.