In giro per l’Europa, ma anche alle sue porte, la secessione sta esercitando un fascino senza precedenti. Nel calderone delle secessioni c’è di tutto: dal Kosovo alla Scozia, dalle Fiandre all’Irlanda del Nord, e così via fino al Kurdistan e alla Catalogna. Ma se la semplificazione mediatica spinge ad accomunare tutte queste istanze, le differenze ci sono. E sono notevoli.
Nella ricerca del responsabile del caos catalano, puntualmente molti commentatori e una buona parte dell’opinione pubblica hanno indicato il solito ignoto: l’Europa. Cioè la Ue.
Dopo il referendum e gli scontri violenti di domenica, la Catalogna sembra avviarsi verso la dichiarazione unilaterale di indipendenza. Un fatto inedito in un paese dell’Unione europea che suscita domande senza precedenti. Si corre il rischio di una escalation di violenza? Quale futuro per una Catalogna fuori dalla Spagna? Quale Spagna senza la Catalogna? E quale impatto sugli altri secessionismi d’Europa?
Dei russi, degli americani, dei francesi e dei tedeschi; degli egiziani o degli israeliani; dei giapponesi o dei cinesi: di tutti ci sarà capitato una volta di pensar male. Perfino degli svedesi. Ma non dei catalani! Gentili, colti, ospitali, palato fine nel cibo come nel gioco del calcio, privi della prosopopea da conquistadores dei madrileni.
Sbagliano entrambi, sia Madrid sia Barcellona. Non a pari responsabilità, ma con motivazioni diverse che sarà importante analizzare per comprendere meglio l’impasse in cui oggi si trova la Spagna intorno alla questione dell’indipendenza catalana.
Il referendum sull'indipendenza della Catalogna di domenica 1° ottobre è sfociato nel caos, con scontri di piazza, numerosi feriti e crescenti tensioni tra Madrid e Barcellona. La domanda posta agli elettori nella scheda era molto precisa: “Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”. Gli avvenimenti si susseguono a ritmo frenetico e sul piano politico, economico e giuridico sono ancora incerte le conseguenze di ciò che sta accadendo.
Il popolo curdo rincorre l’indipendenza da decenni. Il 25 settembre si è svolto un referendum consultivo per l’indipendenza della regione semi–autonoma del Kurdistan iracheno da Baghdad: ha votato oltre il 70% degli aventi diritto e per il "sì" si prevede un plebiscito. Sebbene il governo iracheno abbia già dichiarato che non riconosce la validità del referendum, il voto avrà inevitabilmente un forte impatto sul futuro dell’Iraq.
Forse, quella dell’indipendenza dei curdi iracheni, è solo una questione di famiglia. Massud Barzani, leader del Partito Democratico del Kurdistan (KDP), contestato presidente del Governo Regionale Curdo (KRG) e principale promotore del referendum secessionista, è nato nel 1946 a Mahabad, in Iran. Proprio lì e in quell’anno fu annunciata la nascita del primo effimero stato curdo indipendente, ovvero la Repubblica di Mahabad; sempre nel 1946 fu anche fondato il KDP, storicamente il principale partito-movimento dei curdi iracheni.
L’evoluzione degli eventi in Crimea è oggetto di molteplici analisi geopolitiche, nonché di previsioni sul futuro della regione, contesa tra quelle che sembrano superpotenze riemerse dalla storia dell’Europa dei blocchi, che dal novembre ’89 credevamo di non vedere più.
Parlando dell’Africa subsahariana, una delle idee più comunemente diffuse nell’opinione pubblica occidentale è che essa sia il luogo naturale della guerra perpetua. Addirittura, alcuni importanti osservatori sostengono che la diffusione dei conflitti in Africa segua schemi pandemici. In effetti, se prendiamo in esame l’ultimo anno, subito si presentano i casi del Kivu, del Mali, della caccia a Joseph Kony, della Somalia o dei due Sudan.