La constatazione di Yair Lapid, ministro degli Esteri israeliano, è logica. Se è vero ciò che sostiene il suo collega russo Lavrov, cioè che gli ebrei sono antisemiti, significa che le vittime dell'Olocausto – sei milioni di ebrei – si sono suicidati. Le incredibili dichiarazioni del russo, fino a quel momento un diplomatico dal pragmatico cinismo, sono la conseguenza di una realtà complessa: hanno a che vedere con l'articolato rapporto fra Israele e Russia e con la tenuta di quest’ultima nella guerra ucraina.
Il mese di Ramadan si riconferma un momento cruciale per la sicurezza e la politica israeliana, quest’anno in special modo vista la sua coincidenza con la Pasqua ebraica. I primi episodi di violenza sono cominciati il 22 marzo con l’attacco terroristico di Be'er Sheva, il primo di una serie di altri tre attentati avvenuti a Hadera, Bnei Brak e Tel Aviv che hanno causato 14 vittime in due settimane.
Negli ultimi giorni, le forze israeliane hanno sgomberato più volte la Moschea al-Aqsa di Gerusalemme Est dai fedeli palestinesi, e non sono mancati gli scontri. Tutto questo accade durante il Ramadan, mese di festa per l'Islam che quest'anno coincide sia con la Pasqua cristiana che con quella ebraica. Per capire cosa sta succedendo, Francesco Rocchetti, Segretario Generale dell'ISPI, e Silvia Boccardi dialogano con Davide Lerner, giornalista.
“Dall'accampamento dei Filistei uscì un campione chiamato Golia di Gat. Era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di 5mila shekel. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle [...] Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e con la pietra Lo colpì”. [Antico Testamento, Samuele 1,17]
Il nuovo governo Bennett-Lapid inizia il nuovo anno avendo già affrontato numerose sfide alla sua stabilità. L’approvazione del budget statale 2021-22 ha sicuramente contribuito a gettare le basi per una collaborazione più stretta tra le varie anime della coalizione che di fronte a sé ha un’agenda impegnativa. A partire dalla quinta ondata di coronavirus, che riporta in primo piano tutte le difficoltà legate alla gestione della pandemia, passando per le profonde divisioni interne allo stato le cui ferite chiedono di essere curate, arrivando quindi alle incognite della politica estera.
Naftali Bennett negli Emirati per la prima storica visita di un premier israeliano nel paese arabo: “Siamo vicini e cugini”.
“Cosa vogliamo fare a Gaza?”, si chiedeva il mese scorso Yair Lapid, il ministro degli Esteri, leader centrista e futuro premier fra un paio d'anni: se esisterà ancora lo strano governo di destra, centro-destra, centro, centro-sinistra e sinistra, palestinesi d'Israele compresi. Dovrebbe essere normale che un leader politico israeliano cerchi una soluzione a un problema così evidente come l'instabilità nella striscia. Normale anche che la questione si allarghi a tutti i palestinesi: a cosa fare anche dei territori occupati in Cisgiordania.
Israele si affaccia su questo ultimo trimestre del 2021 cercando di lasciarsi alle spalle una crisi multidimensionale: sanitaria, economica, sociale e governativa. La formazione di un nuovo governo a giugno scorso, fa sperare in un superamento dell’impasse politica degli ultimi due anni che permetta di affrontare tematiche importanti per la sicurezza e la stabilità dello stato.
Il premier israeliano Naftali Bennett e il presidente egiziano Al Sisi si incontrano a Sharm el Sheikh. Un vertice che riflette il rapido cambiamento nelle prospettive bilaterali e regionali.