Two mass protests in June 2020 in Mali’s capital Bamako shook up the country’s politics, threw the government of President Ibrahim Boubacar Keïta on the defensive, and precipitated international efforts to forestall what at least some of the protesters are calling for – Keïta’s resignation. A third mass demonstration may occur on 10 July.
A margine del 33esimo summit dell’Unione Africana tenutosi ad Addis Abeba, il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta (IBK) ha confermato l’apertura di un dialogo con i principali leader jihadisti nel paese.
During the most acute phase of the conflict that erupted in 2012, most of the international observers agreed on the fact that Mali was facing a two-faced and probably unprecedented crisis.
Il 22 luglio 2019, le truppe francesi presenti a Gao, località desertica nel Nord del Mali, sono state oggetto di un attentato suicida che ha causato il ferimento di alcuni tra i militari presenti nella base al momento dell’esplosione. Si è trattato dell’ennesimo attacco diretto a una base militare francese in Sahel.
Domenica 29 luglio 8,5 milioni di elettori del Mali sono stati chiamati a decidere se concedere un secondo mandato al presidente uscente Ibrahim Boubacar Keita, detto IBK.
La Missione multidimensionale integrata di stabilizzazione del Mali delle Nazioni Unite (Minusma) l’ha definito “un attacco senza precedenti”. Quello andato in scena alle 14, ora locale, di sabato 14 aprile a Timbuctu contro le basi dell’ONU e di Barkhane, contingente francese nel Sahel, rappresenta un vero e proprio attestato di maturità per le forze neo-jihadiste attive in Africa occidentale.
Alle 09.15 del 18 gennaio l’esplosione di un’autobomba all’interno del campo base del MOC (Meccanismo Operativo di Coordinamento) a Gao, capoluogo del nord Mali, causa 77 morti e 115 feriti. Fra di loro il giovane giornalista maliano Souleymane Ag Anara che, appena rimesso dalla ferita alla testa, racconta così la carneficina di cui è stato testimone: “La jeep aveva i colori e lo stemma del MOC. È entrata dal cancello principale senza dare nell’occhio e si è scagliata a tutta velocità verso un gruppo impegnato negli esercizi mattutini.
“Il vostro obiettivo per il momento dovrebbe essere quello di insegnare loro le basi, educarli ad essere veri musulmani, e solo fra alcuni anni allora sarete in grado di introdurli a norme più dure perché le persone così capiranno che cosa ci si aspetta da loro”. Chi parla, anzi scrive, è Abou Mossab Abdelwadoud (nom de guerre di Abdelmalek Droukdel), leader di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), in una lunga lettera pedagogica ai suoi seguaci di stanza in Mali.
Gli ultimi eventi di cronaca provenienti dall’Africa occidentale riportano l’attenzione sulla recrudescenza del jihadismo saheliano, che risulta tutt’altro che sconfitto dal dispositivo antiterrorismo franco-americano dispiegato da oltre due anni nella regione. Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) a differenza del passato sta riuscendo a concentrare sotto il proprio controllo la pletora di sigle della galassia neo-jihadista regionale e per farlo sta cambiando strategia, modus operandi e comunicazione.
Mentre nelle ultime settimane gli occhi del mondo sono rivolti verso Kobane e la sanguinaria ascesa dello Stato Islamico in Iraq e Siria, nel nord del Mali continua un conflitto di bassa intensità che sfugge ai titoli dei media ma continua a preoccupare la diplomazia mondiale.
A quasi tre anni dalla caduta del regime di Gheddafi e dalla sua uccisione, la Libia si appresta a vivere uno degli appuntamenti più importanti della propria storia recente, con le elezioni politiche del 25 giugno.
Dopo il Mali, la Repubblica Centrafricana. La seconda guerra di François Hollande, iniziata il 5 dicembre scorso, continua nell’ombra. La Francia dimostra una volta di più di perseguire una politica interventista nel continente nero, dispiegando migliaia di soldati, mezzi pesanti e aviazione nelle ex-colonie colpite da crisi securitarie. Queste “operazioni umanitarie” sono, in realtà, le ultime carte che l’Eliseo può giocarsi nell’estrema difesa dei privilegi economici della potenza coloniale che era.