Una recente escalation di violenza ha investito il Mali riportando le lancette del processo di pacificazione dell’intera regione indietro di qualche luna. Dopo mesi in cui gli unici botti sono stati quelli dei festeggiamenti di libere e partecipate elezioni, nel paese è tornato a risuonare il suono freddo e metallico delle armi. In poco più di una settimana interruzione dei negoziati di pace, scontri e attentati suicidi al nord; sequestri, arresti e un’insurrezione di militari golpisti, al sud.
Dopo la guerra-lampo, elezioni-lampo. Ma non è che una mera questione di simboli. Il 26 luglio scorso il Mali ha votato, ma chi ha vinto davvero questo primo turno di presidenziali è la Francia di Francoise Hollande. Hollande l’Africano, come lo canzona parte della stampa francese. Lo smacco agli Stati Uniti è palese, bruciante.
La fascia saheliano-sahariana è una regione sempre più instabile e insicura. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una presenza sempre più massiccia di movimenti jihadisti e indipendentisti. Il Mali, che si appresta a tornare a libere elezioni il 28 luglio, è divenuto rapidamente l’epicentro di questo vasto “Africanistan” che ha costretto nel gennaio scorso la Francia e alcuni paesi africani ad un intervento armato contro le formazioni radicali e secessioniste che avevano occupato il nord e proclamato lo Stato dell’Azawad. Questa parte di Africa, dal Mediterraneo al golfo di Guinea, dall’Algeria alla Nigeria pare sempre più inghiottita nel mondo arabo-islamico: qui si nascondono e agiscono gruppi (Aqim, Mujao, Ansar al-Din, Mnla, ma anche Boko Haram) capaci di ottenere il controllo di parti di territorio con l'obiettivo di estendere le attività di proselitismo in tutto il continente, conducendo traffici illeciti di ogni tipo, e gettando un’inquietante ombra sulla capacità della comunità internazionale di pacificare questa area.
Per spiegare l’attuale situazione nel sud della Libia e in Niger si potrebbe ricorrere alla classica interpretazione delle relazioni internazionali come “palla da biliardo”. Secondo questa gli stati reagirebbero nell’arena internazionale esattamente come su un tavolo da biliardo rispondendo agli stimoli esterni. L’instabilità del Mali e dell’area saheliana è stata in buona misura il risultato dell’intervento militare in Libia del 2011.
Lo scoppio della guerra in Mali, l’11 gennaio scorso, ha portato l’attenzione mondiale su un fenomeno fino ad ora in parte sottovalutato: la radicalizzazione del sentimento religioso di una fetta ancora fortemente minoritaria ma crescente di musulmani dell’Africa occidentale.
Le elezioni presidenziali del Mali sono grandemente attese. Forse, più dalla cosiddetta comunità internazionale, che soprattutto per iniziativa francese si è vista coinvolta direttamente in questo paese saheliano, piuttosto che dai cittadini maliani, impegnati nel Ramadan e probabilmente disincantati sulla possibilità che effettivamente le elezioni determinino un cambio di passo in una situazione nazionale comunque molto instabile.
Le guerre in Libia e Mali e le loro implicazioni destabilizzanti, tradottesi in ultima istanza in una recrudescenza delle azioni terroristiche dei gruppi jihadisti nel più vasto Sahel, hanno esasperato l’instabilità di un’area storicamente attraversata da fratture sovrapposte e da contrasti a livello d’integrazione, state-building e governance solo in apparenza sopiti, chiamando in causa Algeria e Nigeria nel loro ruolo di potenze regionali in un misto di convergenza e antagonismo.
L’intervento militare in Mali, cominciato l’11 gennaio 2013, è senza dubbio una delle decisioni più ambivalenti che abbia preso un presidente francese da molto tempo.
Il Sahel è stato etichettato “Afriganistan” da alcune testate straniere. L’Africa occidentale, in realtà, è una delle regioni più complesse, fragili e insicure del pianeta. Storicamente caratterizzata da malnutrizione cronica e insicurezza alimentare, ha visto un incre-mento di trafficanti e terroristi creando le condizioni per una crisi umanitaria, economica e istituzionale che mina la sicurezza locale, regionale e globale.
In occasione della visita agli studenti del Master ISPI in International Cooperation abbiamo incontrato Federico Perotti, coordinatore dei progetti di CISV nel sud del mondo. Federico Perotti ha conosciuto la realtà della cooperazione internazionale, come succede a molti, attraverso il volontariato e, proprio grazie a quell’esperienza, ha deciso di dedicare la propria vita professionale al mondo della cooperazione e dell’aiuto allo sviluppo. (...)
La storia recente del Mali è costellata di accordi fra potere centrale e ribelli tuareg del nord. È successo nel ’91, nel ’95, nel ’96, nel 2006 e nel 2008. Minimo comun denominatore è che la pace al nord non è mai durata un granché. Ma questa volta, secondo molti, sarà diverso.
Cinquant’anni fa nasceva l’OUA, l’Organizzazione dell’Unità Africana, promessa e premessa del panafricanismo realizzato e strumento di resistenza al sistema bipolare. Era il 1963: l’Africa sanciva la propria unione sulla base del comune passato coloniale e della liberazione recente, in nome di un futuro in cui lo sviluppo economico e sociale era già percepito come chiave per la sopravvivenza degli stati nascenti.