Although 56 per cent of Turkish public opinion does not support Turkish foreign policy regarding Syria, due to the way Turkish government managed the human crisis (and spent its money), the population agrees on the necessity on persisting to solve this problematic situation. And thus does Europe. Following the Summit of EU leaders on October 15th, German Chancellor Angela Merkel took an emergency trip to Turkey, where she needed to recruit the Turkish side to stop the flood.
La storia dell’evoluzione della Germania è riassunta in due foto a distanza di settant’anni. La prima di un ragazzino impaurito nel ghetto di Varsavia davanti ad un soldato nazista, la seconda di un altro ragazzino, con il cappello di un poliziotto tedesco, felice di essere accolto, da rifugiato, in Germania. Due foto che simboleggiano il lungo percorso di riabilitazione di un Paese che dopo la seconda guerra mondiale poteva sparire e diventare una semplice “entità geografica” (Stalin).
Le cronache di queste ultime settimane ci raccontano di una gigantesca spirale di migliaia e migliaia di persone che cercano di raggiungere le frontiere estere dell’Unione Europea. Sono molti più di prima - molto più di sempre, verrebbe da dire - nella recente storia dell’immigrazione europea.
Fino a giovedì scorso l’accordo con la Grecia sembrava davvero a portata di mano. I termini di questo accordo erano trapelati e vertevano su tre punti fondamentali. Anzitutto c’era il nodo delle pensioni. Nelle intenzioni del governo greco l’età pensionabile sarebbe stata portata a 67 anni, ma non prima del 2036. Il compromesso raggiunto puntava invece ad anticiparla al 2025. Considerando l’enorme peso – il più alto in Europa – che la spesa pensionistica ha sul Pil greco non appariva un compromesso inaccettabile.
Alexander Lukashenko that hosted the summit in Minsk could barely hide his happiness. He did not take a direct part in the 16-hours long negotiations, but got a precious opportunity to transform his status from the one of “the last European Dictator” into the one of the main European peace-maker with the European leaders paying a visit to him.
Lo si sapeva da tempo ma adesso se ne è avuta la conferma. Il tradizionale asse tra Parigi e Berlino che ha permesso all’Unione europea di raggiungere traguardi storici si è spezzato. Il motivo è sotto gli occhi di tutti da alcuni anni almeno: l’asse era troppo sbilanciato e pendeva pericolosamente verso la Germania, fino a spezzarsi appunto.
Il rischio di delusioni e di una conseguente crisi da «too high expectations» incombe sulla presidenza italiana. Più grave, si assiste a una grave disinformazione sui rapporti di forza reali e sui Trattati che purtroppo caratterizza la maggioranza dei commenti sulle questioni della UE, al punto che in Italia, sull’Europa, si può impunemente dire tutto e il suo contrario.
A confronto con la nevrosi della campagna elettorale per le elezioni europee nel nostro paese, in Germania l’appuntamento sembra presentarsi come una consultazione certo importante ma quasi di routine. È un’impressione falsa? Il “merkelismo” agisce come tranquillante, nel senso che la Germania si sente comunque forte delle sue buone ragioni e conta sul grande consenso interno, anche in questa competizione europea? O semplicemente sta rimuovendo la sua preoccupazione?
Due buone notizie per l’Europa, se… La prima buona notizia è che il trionfo della Merkel ha fermato la spinta euroscettica crescente nell’opinione pubblica tedesca.
Le elezioni del prossimo 22 settembre in Germania costituiscono un passaggio molto atteso non solo a Berlino, ma in tutta l’Europa, per via della centralità che il Paese ha assunto negli ultimi anni, soprattutto nel dettare la linea economica per uscire dalla crisi. Tuttavia, da questa tornata elettorale difficilmente verrà designato un nome nuovo per la Cancelleria, posizione che – al di là delle possibili alleanze di governo, che dipenderanno dai risultati degli altri partiti – sarà probabilmente occupata ancora da Angela Merkel. Se le previsioni venissero confermate, dunque, ben poco cambierà sia all’interno degli equilibri tedeschi che, di conseguenza, nel più ampio quadro europeo. Il modello economico del mercantilismo tedesco e l’imposizione di politiche economiche di austerità, continuerebbero ad accompagnarsi a una sostanziale riluttanza nei confronti dell’assunzione di una vera leadership politica a livello europeo. Se in Europa continuerà ad essere seguita la linea tedesca, anche allargando la visuale ci troveremmo davanti a dinamiche che si distanzierebbero poco da quelle attuali. Washington e Pechino, per motivi differenti, hanno entrambi bisogno di mantenere i buoni rapporti con Berlino. Una Germania, dunque, che, anche nei prossimi anni, continuerà ad essere al centro dell’attenzione e a ricoprire un ruolo di primo piano in Europa, che difficilmente potrà essere messo in discussione. (...)
Barack Obama aspetta l’esito delle elezioni tedesche sperando di veder emergere a Berlino un governo capace di affiancare gli Stati Uniti nell’accelerare la crescita dei paesi industrializzati durante i tre anni che rimangono alla fine del suo mandato.
L’eccessivo ottimismo, come d’altronde l’eccessivo pessimismo, è cattivo consigliere, nella vita quotidiana come nell’analisi politica. Le prossime elezioni in Germania, con l’atteso rinnovo del Bundestag dopo quattro anni di un governo democristiano-liberale, inducono molti osservatori a sperare in grandi cambiamenti nella politica europea della Repubblica Federale. In realtà, è preferibile rimanere cauti.