Il governo e l’opposizione venezuelano hanno ripreso a dialogare ma la strada da percorrere è ancora molto lunga e tortuosa. La sensazione del déjà-vu è visibile dopo i tre giorni di incontri tenuti a Città del Messico tra i rappresentanti del presidente Nicolas Maduro e quelli della “piattaforma unitaria” dei quattro principali partiti d’opposizione.
Il “pareggio tragico”, dove a perdere sono, irrimediabilmente, tutti i venezuelani. Nicolas Maduro da una parte, Juan Guaidó dall’altra; dopo il tentativo di insurrezione generale del 30 aprile i due presidenti si sfidano a distanza, puntellano le rispettive posizioni, ma sanno che difficilmente riusciranno a vincere la partita.
La crisi economica, politica e istituzionale in Venezuela si è aggravata progressivamente negli ultimi quattro anni e oggi ha raggiunto dei livelli drammatici: crollo della produzione petrolifera, iperinflazione, emigrazione di massa, scontro tra chavisti, che considerano Nicolás Maduro legittimo presidente per i prossimi sei anni, e opposizione, che riconosce Juan Guaidò come presidente ad interim e chiede nuove elezioni presidenziali.
Il Re è nudo. E non è un bello spettacolo. Questo hanno detto le piazze venezuelane: colme, colorate, esasperate; dal Caribe alle grandi pianure, dalle Ande all’Amazzonia, dai quartieri borghesi ai ranchos più miserabili. Lo sapevamo da tempo, ma la prepotenza pareva aver chiuso le porte della speranza e spalancato quelle dell’esilio.
L’opposizione venezuelana tenta il tutto per tutto e ha scelto un giorno storico per dare la spallata decisiva al governo di Nicolas Maduro. Il 23 gennaio del 1958 un golpe militare interno mise fine al regime di Marcos Pérez Jimenéz.
Rabbia, impotenza, rassegnazione. Il giorno dopo il controverso voto che ha confermato Nicolas Maduro alla presidenza del Venezuela per il periodo dal 2019 al 2025, a Caracas la gente si è svegliata con una certezza; non c’è più spazio, date le condizioni, per una soluzione politica alla drammatica crisi che attraversa il paese sudamericano.
In Venezuela è come nel Gattopardo: tutto cambia perché nulla cambi. O come diceva Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha. Verrebbe da ridere, o da sbuffare, se non ci fossero di mezzo bambini senza cibo, malati senza medicine, prigionieri senza diritti, cittadini senza speranza che fuggono in massa oltre confine: in Colombia. E dire che un tempo era la cugina povera!
Il caos economico e il disastro umanitario in corso in Venezuela stanno provocando una massiccia migrazione dei suoi abitanti verso i paesi limitrofi. In due anni, oltre 1,2 milioni di venezuelani hanno lasciato il loro paese. Ma secondo alcune stime potrebbero già essere oltre 2 milioni, su una popolazione totale di 30 milioni. E molti altri si stanno preparando ad attraversare la frontiera.
L’evidente indebolimento di Maduro non é il preludio alla fine del suo governo, ma può rappresentare la premessa ad un aumento della violenza e della repressione contro la popolazione.
«Chiediamo l’abolizione di questa Assemblea nazionale. Chiediamo che l’abolizione sia accompagnata dalla convocazione di elezioni parlamentari perché sia il popolo a dire se questa Assemblea ostruzionista e violatoria della Costituzione sia quella che deve essere in carica o, al contrario, il popolo decida che tipo di Assemblea debba darsi».
“Gli unici a preoccuparsi per il miglioramento delle relazioni fra Washington e L’Avana sono stati i venezuelani”. La frase, pronunciata dal segretario di Stato John Kerry di fronte al Senato, il 24 febbraio, non è completamente vera, ma sottolinea un effetto collaterale rilevante del processo di avvicinamento fra i due ex nemici giurati. Anche i repubblicani, gli esuli cubani di Miami e una parte minoritaria del dissenso subiscono con evidente fastidio il “nuovo corso”.
The ground is shrinking beneath the feet of Venezuela’s president, Nicolás Maduro. Low oil prices have hastened an economic crisis in Venezuela, a country that was already on the brink of financial and political turmoil for more than a year. Not only have low oil prices precipitated a massive credit crunch within the country. They also put Petrocaribe, one of former President Hugo Chávez’s most prized international alliances, at risk.