As Ukraine prepares to hold its second presidential election since the 2014 “Revolution of Dignity”, there is less focus on the country in the United States now that at any point in the last five years. That is not to say that it has fallen off the radar or that US policy circles no longer care about what is happening there, but rather that the situation in Ukraine is seen as being a fair way along the inevitable process of moving from crisis to normalisation.
Fra pochi anni, quando presumibilmente sia gli Stati Uniti che la Nato saranno ancora impegnati in Afghanistan, la guerra più lunga nella storia americana compirà vent’anni. È dal 2001 che le forze americane e alleate si impegnano alla ricerca di una stabilizzazione, che tuttavia è ancora lontana a venire. Certo alcuni scopi strategici gli Stati Uniti li hanno già perseguiti con successo: la cattura di Bin Laden e la conversione dell’Afghanistan in un paese poco ospitale per i gruppi terroristici di matrice islamista.
Understanding the current iteration of the two-decade long North Korean crisis is not easy. It is, for what of a better word, complicated. Furthermore, the fact is that it has finally imploded while Donald Trump is President. “Of all the presidents in all the world, why did you have to start a North Korean crisis with him...?” This is not an administration that lends itself to level analysis. And nor is the topic, for that matter.
Romano Prodi sostiene che Helmut Kohl era un negoziatore tenace. Ma se riusciva a raggiungere i suoi obiettivi era perché capiva le difficoltà dell’avversario col quale cercava sempre di raggiungere un compromesso. Quanto stona la gravitas del cancelliere scomparso con i grotteschi comportamenti di Donald Trump: "io so’ io e voi non siete che disaster", per parafrasare il Marchese del Grillo.
Si terrà questa sera alle 21.00 (le 3.00 del mattino in Italia) il primo confronto televisivo tra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump e Hillary Clinton. Novanta minuti senza interruzioni pubblicitarie, domande a bruciapelo, un minuto e mezzo per le risposte. Una vera e propria performance in cui a vincere con ogni probabilità non sarà chi dimostrerà di avere il programma migliore, bensì chi sarà in grado di esporre le proprie idee con efficacia, reggendo alla pressione dei tempi serrati e agli attacchi incalzanti dell’avversario.
Gli otto anni della presidenza Obama sono stati – per gli Stati Uniti e per il mondo – un periodo di grandi cambiamenti. Quale eredità lascia Barack Obama al suo successore, in particolare per quanto riguarda la politica estera?
Molte sono le questioni aperte, a partire dai negoziati con l’Iran e tutto il complicato scacchiere mediorientale, con la minaccia costante dello Stato Islamico. I contributi raccolti nel presente volume si propongono di fotografare questa situazione in divenire e di identificare – in una serie di aree critiche, dalla Russia all’Europa, all’Asia – l’impatto che hanno avuto le scelte dell’amministrazione per comprendere i possibili sviluppi futuri. Più che fornire risposte, il volume vuole, quindi, sollevare domande, mettendo in evidenza da una parte le criticità nascoste nei «successi» del Presidente, dall’altra la coerenza di decisioni apparentemente contraddittorie.
Con la consapevolezza che i margini d’azione della «nazione indispensabile» possono essere ampi ma non sono certamente illimitati. Fattori interni ed esterni hanno infatti modificato profondamente la posizione degli Stati Uniti nel mondo, intaccando la loro «eccezionalità» e mettendo in discussione il mito dell’«iperpotenza». Se e quanto questi cambiamenti si dimostreranno duraturi è ancora da verificare. Rimane il fatto che il suo successore difficilmente potrà prescindere dai cambiamenti che sono intervenuti negli otto anni della presidenza Obama.
Si terrà questa sera alle 21.00 (le 3.00 del mattino in Italia) il primo confronto televisivo tra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump e Hillary Clinton. Novanta minuti senza interruzioni pubblicitarie, domande a bruciapelo, un minuto e mezzo per le risposte. Una vera e propria performance in cui a vincere con ogni probabilità non sarà chi dimostrerà di avere il programma migliore, bensì chi sarà in grado di esporre le proprie idee con efficacia, reggendo alla pressione dei tempi serrati e agli attacchi incalzanti dell’avversario. Gli argomenti su cui si confronteranno i candidati sono tre: "Securing America", "America’s direction" e "Achieving prosperity". Quali sono le posizioni di partenza dei candidati? In questo Focus, una breve guida a questi argomenti, per arrivare preparati a quello che si prepara ad essere il principale appuntamento di questa singolare corsa verso la Casa Bianca. (...)
Il dibattito ha tratto spunto anche dal volume “Il mondo di Obama”, pubblicato nell’ambito della collaborazione Mondadori–ISPI sull’attualità internazionale.
L’incontro, promosso in collaborazione con Consolato Generale USA, Fondazione Corriere della Sera e Mondadori, è stato il secondo appuntamento del ciclo “Gli Stati Uniti alle urne”.
La competizione elettorale che porterà più di duecento milioni di americani alle urne il prossimo 8 novembre presenta molti elementi di novità, a partire dai contendenti: un magnate che fa ampio uso di strategie populiste e la prima donna a ottenere la nomination di un grande partito. Al culmine di una fase politica caratterizzata da grande incertezza e da un dibattito elettorale quantomai acceso, emergono alcuni interrogativi di fondo: quali differenze nell'agenda politica, economica e sociale dei due candidati?
Dopo il colpo di Stato di Kiev del 23-24 febbraio 2014, favorito dall’ingerenza negli affari interni ucraini di Washington, di Varsavia e dei Big Three dell’Unione europea (Berlino, Parigi, Londra), la frontiera russo-europea è tornata a essere una «linea di faglia» che evidenzia schieramenti rivali sul punto di entrare in rotta di collisione.
Abstract
The conventional wisdom is that Barack Obama is America’s first ‘Pacific president’. Obama grew up in Hawaii and Jakarta. The ‘pivot to Asia’ is Obama’s signature foreign policy achievement. And the Trans-Pacific Partnership is the cornerstone of Obama’s trade policy. By contrast, Europe is – or at least appears to be – less important to the U.S. President. Obama has few if any obvious European roots. His attention to European security has been sporadic rather than strategic. And his determination to conclude the Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) before the end of his administration is more rhetorical than real.
This conventional wisdom is pervasive. It is also misleading. The transatlantic relationship is bigger than any sitting president. Moreover, Obama’s policies toward Europe show more continuity with his predecessors than change. Relations have changed across the Atlantic despite this continuity.