Quali sono le principali sfide di politica estera che il prossimo nuovo dovrà affrontare? Con il voto del 4 marzo, l’Italia ha chiuso un ciclo elettorale che nell’ultimo anno ha coinvolto i principali paesi europei. Come in Francia, Germania e Regno Unito, l’esito e le conseguenze delle elezioni italiane non sembrano scontati.
Qual è la minaccia più grave per l’Italia? Donald Trump è un esempio da imitare o un fattore di instabilità mondiale? La Corea del Nord è un pericolo per la pace? Ecco la percezione degli italiani su alcuni dei temi più caldi dell’attualità internazionale. Il sondaggio è stato commissionato da ISPI e Rainews24 e realizzato da IPSOS su un campione di oltre 1000 interviste effettuate tra il 26 e il 27 settembre.
Le minacce più sentite: crisi economica ancora prima (ma in flessione), immigrazione seconda
Con l’iniziativa “One Belt, One Road” (OBOR), la Cina si è lanciata in un ambizioso progetto volto a rafforzare la proiezione della propria politica estera e commerciale non solo a livello regionale, ma anche – e forse soprattutto – a livello globale. Tutto ciò attraverso un’imponente programma di investimenti, scambi commerciali, telecomunicazioni e infrastrutture che dovrebbe impegnare un’area vastissima e oltre 60 paesi: dall’Asia all’Europa, dall’Oceania all’Africa Orientale.
Qual è il quadro che emerge dalla rilevazione sugli italiani e la politica internazionale giunta alla sua terza edizione? Quello di un paese che per tre anni consecutivi ha avuto al centro delle proprie preoccupazioni la crisi economica. Diverso lo scenario quando si parla di minacce globali: in questo caso, infatti, prevale nettamente la preoccupazione per il terrorismo islamico.
La Costituzione della Quinta Repubblica, adottata circa sessant’anni fa, conferisce un ruolo preminente al presidente della Repubblica in materia di politica estera. Il capo dello Stato non è solamente incaricato di negoziare e ratificare i trattati, ma si trova anche a capo delle forze militari. La prassi ha poi rafforzato tale posizione di preminenza, tanto che l’azione esterna è spesso considerata “l’ambito riservato” del Presidente.
La Constitution de la cinquième République, adoptée il y a près de 60 ans, confère un rôle prééminent au Président de la République en matière de politique étrangère. Non seulement le chef de l’Etat est-il chargé de négocier et ratifier les traités, mais de surcroît, il se trouve à la tête des armées. La pratique a renforcé cette prééminence, si bien que l’action extérieure est souvent présentée comme le « domaine réservé » du Président.
Eccezione o punto di svolta? Nonostante le relazioni tra Roma e Il Cairo stiano tornando lentamente alla normalità, gli sviluppi del caso Regeni indicano che c’è qualcosa di nuovo nella politica estera italiana. Per la prima volta l’opinione pubblica, senza la mediazione dei partiti, ha giocato un ruolo centrale nel determinare la strategia mediterranea dell’Italia.
I 13 anni di politica estera del Partito dei lavoratori (Pt), portati avanti durante i governi di Luiz Inácio Lula da Silva (2003-2010) e Dilma Rousseff (2011-2016), sono stati ad alto tasso di paradossalità e per questo provocano giudizi contrastanti tra gli osservatori.
Agli antipodi. Basterebbero queste due parole per riassumere le idee di politica estera espresse finora pubblicamente dai candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump e Hillary Clinton.
Il frontman repubblicano, magnate eccentrico e senza peli sulla lingua, è quello che al momento dà l’idea di poter riservare le maggiori sorprese qualora fosse eletto alla Casa Bianca.
di Andrea Carati
La politica estera non entusiasma la competizione elettorale americana, né nella partita interna allo schieramento democratico né in quella del partito repubblicano. Ancor meno può entusiasmare nelle battute iniziali delle primarie, quelle di febbraio nelle quali si fanno strada i possibili candidati, in attesa del Super Tuesday. (...)