È ancora presto per capire se l’accordo raggiunto il 24 novembre 2013 porterà a una soluzione effettiva dell’annoso dilemma del nucleare iraniano. Un risultato importante sembra comunque averlo conseguito, dando respiro a un’amministrazione – quella di Barack Obama – che nelle settimane precedenti era parsa arrancare sotto il peso delle difficoltà interne e internazionali.
Negli ultimi anni il Qatar è stato al centro della cronaca poiché, al di là della designazione come paese ospitante dei Mondiali di calcio 2022, l’incredibile decollo economico e il ruolo d’intermediario in importanti episodi di politica internazionale lo hanno reso l’esempio di un modello di modernizzazione mediorientale.
L’Iran ricopre una posizione centrale in Medio Oriente in ragione di diversi fattori, in particolare per la sua collocazione geografica e la presenza sul suo territorio di ingenti giacimenti di petrolio e gas naturale. Situato tra l’Oceano indiano e l’Eurasia, l’Iran si affaccia sullo stretto di Hormuz e può quindi controllare i flussi petroliferi che attraver-sano le aree marittime circostanti. In virtù della sua prossimità all’Asia centrale, al Cau-caso e al subcontinente indiano, l’Iran è inoltre tradizionalmente un importante snodo regionale di scambi commerciali.
L’aver cantato «Bomb, bomb Iran» durante la campagna elettorale del 2008 sulle note della celebre canzone Barbara Ann, resa famosa dai Beach Boys, non fu certamente il motivo per cui John McCain perse le elezioni presidenziali contro Barack Obama. Tuttavia, a distanza di cinque anni dall’invasione dell’Iraq, la parodia musicale nemmeno aiutò il Repubblicano a guadagnare consenso agli occhi di un elettorato in larga parte riluttante ad utilizzare nuovamente la forza militare in Medio Oriente.
Alla luce dei recenti avvenimenti sviluppatisi nella cornice diplomatica della settimana inaugurale della sessantottesima sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha visto una ripresa dell'interazione negoziale tra Iran e Stati Uniti, a pochi mesi dalla elezione a presidente della Repubblica Islamica di Hassan Rohani, è sorto un intenso dibattito sulla verosimiglianza dell'apertura politica esercitata da Rohani stesso e dal suo staff, in primis il ministro degli esteri Yavad Zarif.
Barack Obama aspetta l’esito delle elezioni tedesche sperando di veder emergere a Berlino un governo capace di affiancare gli Stati Uniti nell’accelerare la crescita dei paesi industrializzati durante i tre anni che rimangono alla fine del suo mandato.
Parlare di politica “estera” italiana nei confronti dell’Ue rischia di essere quanto meno fuorviante. Moltissime politiche che tradizionalmente vengono considerate “nazionali” – come ad esempio le politiche di bilancio – sono ormai strettamente vincolate (se non addirittura imposte) nelle loro procedure, tempistiche e finalità dalle Istituzioni di Bruxelles.
La politica estera italiana nei confronti della Federazione russa, come emanazione del governo guidato dal presidente del Consiglio Enrico Letta, non si scosterà dagli orientamenti impressi dai governi precedenti. Le relazioni Italia-Russia si sono infatti consolidate e rafforzate nel tempo indipendentemente dai governi che si sono alternati nei rispettivi paesi. Tradizionalmente, la posizione italiana rispetto a Mosca è stata trasversalmente compatta, ossia condivisa da governo e opposizione e dai diversi livelli istituzionali.
La politica estera di uno stato è sempre il frutto del capitale investito. Un paese può chiedere e pretendere sulla scena internazionale soltanto se dispone di un patrimonio rispettabile, accumulato nel corso degli anni: una buona collocazione geopolitica, un’economia dinamica, un governo affidabile sostenuto da un forte consenso nazionale, forze armate addestrate e credibili, una buona rete di amicizie e alleanze.
Una rottura, cortese ma perentoria, ha segnato la linea della politica estera dell’Italia nei confronti della questione siriana nel passaggio dal governo Monti al governo Letta.
In Italia il dibattito sulla presenza delle forze armate italiane nelle missioni all’estero è polarizzato fra coloro che sostengono il ritiro da tutte o quasi le operazioni in corso e coloro che sostengono la necessità di adempiere agli impegni presi in sede internazionale.