In the wake of the killing of more 300 Muslim worshippers by allegedly Jihadist militants during al-Rawdah massacre in November 2017, President Sisi launched a new military campaign - “Comprehensive Operation-Sinai 2018” - with the aim of putting an end to terrorism and restoring security within three months in turbulent Egypt. The military operation, which precedes the presidential election of March 26-28, 2018, has pursued growing repression of the opposition and militarization of institutions in the country.
After the crackdown on the Muslim Brotherhood in July 2013, Sinai Peninsula became a safe haven for many radical Bedouins and Jihadists, who used Morsi’s ouster both to legitimize their ideological and political battles in Egypt and to enlarge their strategic range from the Sinai Peninsula to the immediate neighborhood of the Egyptian Peninsula. Indeed, during these years’ attacks and violence increased exponentially of the 69% in Sinai and in Egypt.
Il Sinai é del Califfo. O almeno questo risulterebbe ascoltando la proclamazione di fedeltà (Bay’a) del gruppo Ansar Bayt al-Maqdis (ABM), organizzazione terroristica attiva dal 2011 in questa penisola di biblica memoria. Che elementi legati alla galassia del jihadismo internazionale si fossero da tempo mischiati ai leader dei clan locali scontenti del tradizionale atteggiamento delle autorità del Cairo nei loro confronti è noto almeno dal 2012. Sin dall’anno prima, in seguito alla confusione generata dalla repentina caduta dell’ultratrentennale dittatura di Hosni Mubarak, le tribù del Sinai avevano infatti saputo approfittare del temporaneo vuoto di potere per scatenare una lunga sequela di attacchi contro le forze di sicurezza egiziane, progressivamente supportate dai gruppi jihadisti in esse infiltratisi. (...)
I gravi attacchi terroristici che hanno colpito venerdì scorso le città di Al-Arish e Shaykh Zuwaid, nel Sinai settentrionale, causando trentuno vittime fra i militari egiziani, danno il senso della condizione di ordinaria emergenza che la penisola dell’Egitto vive da almeno tre anni.
Sono già oltre 100 i morti negli scontri avvenuti in seguito alla deposizione di Mohammed Morsi. Le vittime per ora si contano soprattutto fra i sostenitori dei Fratelli Musulmani e dell’ex raìs, ma i gruppi islamisti non sono l’unico bersaglio della repressione dell’esercito e delle forze di sicurezza egiziane.
La zona cuscinetto a terra di nessuno, dunque di tutti: la destituzione del presidente egiziano Mohamed Morsi sta accelerando il peggioramento delle condizioni di sicurezza nel Sinai, da mesi avvitatosi in un’escalation di violenza. Se l’intero Egitto pare essere entrato in una fase cupa e confusa – nella quale gli stessi attori politici e religiosi sembrano incapaci di soppesare le conseguenze profonde delle proprie azioni – esistono almeno tre ragioni di ancora maggiore inquietudine per la penisola.